12. Vangelo

XII – VANGELO

Mentre il coro canta tutti gl’inni dei quali abbiamo parlato, il diacono prende il libro dei Vangeli e lo pone sopra l’altare, manifestando così l’identità che esiste tra il Verbo di Dio, che ascoltiamo nel Vangelo, e Nostro Signore, rappresentato dall’altare. Il sacerdote non incensa il libro, ma benedice l’incenso, cerimonia che il diacono non ha il diritto di fare.
Benedetto l’incenso, il diacono s’inginocchia sul primo gradino dell’altare e recita la preghiera Munda cor meum nella quale domanda a Dio che il suo cuore e le sue labbra siano purificati affinché possa annunziare degnamente il santo Vangelo. Fa allusione, in questa preghiera, al carbone di fuoco col quale un serafino toccò le labbra del profeta Isaia per purificarlo e renderlo degno d’annunziare le cose che lo Spirito Santo gli aveva ispirato (cf. Is 6,5-7). Questa preghiera viene pronunciata dal sacerdote anche nella Messa bassa.
Terminata questa orazione, il diacono prende il libro e, inginocchiandosi dinanzi al sacerdote, gli chiede la benedizione: Jube, domne, benedicere, “degnati di benedirmi”. Nella Messa bassa il sacerdote chiede la benedizione a Dio dicendo: Jube, Domine, benedicere, ed egli stesso si risponde con le parole della benedizione, facendovi i cambiamenti necessari, per applicar a se stesso la risposta. Ricevuta la benedizione, il diacono bacia la mano del sacerdote, che deve aver posta sul libro dei Vangeli prima di consegnarglielo, quasi ad indicare che lo incarica di legger in suo nome.
Si dirige allora verso l’ambone del Vangelo e là comincia la lettura con le solenni parole: Dominus vobiscum. È questa l’unica occasione in cui è permesso al diacono di salutar il popolo con tale espressione solenne. Con essa sembra dirgli: “Preparatevi, poiché state per ascoltar il Verbo di Dio, la Parola eterna; per ricever un così grande favore bisogna che il Signore sia con voi, che vi illumini e vi alimenti con la sua Parola”. Il popolo risponde a questa domanda: Et cum spiritu tuo.
Allora il diacono da inizio alla lettura annunziando il titolo di ciò che sta per leggere con le parole: Initium o Sequentia sancti Evangeli!, facendo il segno di croce sul libro laddove comincia il passo del Vangelo; poi segna se stesso sulla fronte, sulla bocca e sul petto, domandando con la croce, principio di ogni grazia, che abbia sempre il Vangelo nel cuore e sulle labbra, e che la sua fronte non ne arrossisca giammai. Prende il turibolo, incensa il libro per tre volte, mentre il popolo risponde: Gloria tibi, Domine all’annunzio della buona novella, rendendo gloria al Signore, la cui Parola si prepara ad ascoltare.
Procede quindi al canto del Vangelo. Il diacono congiunge le mani e non le appoggia sul libro, non permettendosi una tale familiarità verso ciò che racchiude l’espressione della Parola eterna.
Finita la lettura, il suddiacono prende il libro aperto e lo porta al celebrante che, baciandolo dove inizia il passo letto, dice: Per evangelica dieta deleantur nostra delicta, “per l’efficacia delle parole che abbiamo ascoltato, siano cancellati i nostri peccati”. Noi troviamo in questa formula, che si usa qualche volta come benedizione a Mattutino, una specie di rima che denota un’origine medievale. Frattanto il diacono si volge subito verso il sacerdote in nome del quale ha cantato il Vangelo e, prendendo il turibolo, lo incensa tre volte. A questo punto della Messa viene incensato solo il celebrante.
Il sacerdote che celebra la Messa senza esser assistito dai ministri deve girar il Messale, quando legge il Vangelo, in modo che si trovi collocato un po’ verso il nord, poiché, secondo la parola del profeta Geremia (1,14): Ab aquilone pandetur malum super omnes habitatores terree, “dal settentrione si rovescerà la sventura su tutti gli abitanti della terra”. Anche il diacono si mette nella direzione indicata quando canta il Vangelo e, per la stessa ragione, nel battesimo degli adulti si mette il catecumeno in modo che abbia la faccia rivolta a nord, nel momento in cui rinunzia a Satana.
Un tempo, vi erano nelle grandi chiese due amboni o specie di pulpiti molto alti, uno per l’Epistola e l’altro per il Vangelo. Oggi non sì vedono più che nella chiesa di san Clemente a Roma e di san Lorenzo fuori le mura. Esistevano anche a san Paolo fino all’epoca dei restauri. In uno di questi amboni sì metteva il cero pasquale durante i quaranta giorni che precedono l’Ascensione.
Dobbiamo far notare, in questo luogo, la differenza che la Chiesa stabilisce tra la maniera di annunziar il Vangelo e quella di proclamare l’Epistola. Per l’Epistola si limita ad annunziare semplicemente qual è il passo che si sta per leggere, mentre fa sempre preceder il Vangelo dal Dominus vobiscum. Nell’Epistola, infatti, è il servo che parla; nel Vangelo, al contrario, è la parola del Maestro che si ascolta e, di conseguenza, bisogna richiamare l’attenzione del popolo fedele; per questo si usa la formula: Dominus vobiscum.
Soltanto alla fine del Vangelo letto dal sacerdote si risponde: Laus tibi, Christe, perché un tempo il celebrante, non leggendo nulla di ciò che era cantato, ascoltava semplicemente il Vangelo (9).
Nelle Messe dei defunti il diacono non domanda la benedizione al sacerdote prima del Vangelo, poiché, essendo una cerimonia puramente di onore, la si omette in segno di lutto e di tristezza. Non si portano neppure i lumi all’ambone e il sacerdote non bacia il libro al ritorno del diacono. Similmente il diacono non bacia la mano del sacerdote quando prende il libro dall’altare.

NOTE

9) Al tempo di Dom Guéranger il sacerdote, alla Messa solenne, leggeva per conto proprio l’Epistola e il Vangelo che erano cantati dal suddiacono e dal diacono. Prima d’allora l’uso era diverso ed il sacerdote non leggeva nulla.

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