Pratica della Quaresima

PRATICA DELLA QUARESIMA

Il timore salutare.

Dopo avere impiegato tre intere settimane a riconoscere le malattie della nostra anima e ad approfondire le ferite che ci ha fatte il peccato, ora dobbiamo sentirci preparati alla penitenza. Conosciamo meglio la giustizia e la santità di Dio ed i pericoli ai quali s’espone l’anima impenitente; per operare nella nostra anima un ritorno sincero e durevole, abbiamo abbandonato le vale gioie e la futilità del mondo; fu cosparsa di cenere la nostra testa, ed il nostro orgoglio si dovette umiliare sotto la sentenza di morte che si compirà in ciascuno di noi.

Ma nel corso della prova che durerà quaranta giorni, così lunghi alla nostra debolezza, non saremo privati della presenza del nostro Salvatore. sembrava ch’egli si fosse nascosto ai nostri occhi durante queste settimane, che risuonavano delle maledizioni pronunciate contro l’uomo peccatore; ma la sua assenza ci era salutare: era bene, per noi, imparare a tremare al tuono delle vendette divine. “Principio della sapienza è il timor di Dio” (Sal 110,10; ed è perché siamo stati presi dal timore, che s’è risvegliato nelle nostre anime il sentimento della penitenza.

L’esempio affascinante di Cristo.

Ora, apriamo gli occhi e vediamo. È lo stesso Emmanuele che, raggiunta l’età dell’uomo, si mostra di nuovo a noi, non più sotto le sembianze del dolce bambino che adorammo nella culla, ma simile a un peccatore, tremante e umiliato dinanzi alla suprema maestà che noi abbiamo offesa, ed ai piedi della quale egli s’è offerto in nostra cauzione. Nell’amore fraterno che ci porta, è venuto ad incoraggiarci con la sua presenza ed i suoi esempi. Noi ci dedicheremo per lo spazio di quaranta giorni al digiuno ed all’astinenza: e lui, l’innocente, consacrerà lo stesso tempo ad affliggere il suo corpo. Ci allontaneremo per un po’ di tempo dai rumorosi piaceri e dalle riunioni mondane: ed egli si apparterà dalla compagnia e dalla vista degli uomini. Vorremmo frequentare con più assiduità la casa di Dio e darci con più ardore alla preghiera: ed egli passerà quaranta giorni e quaranta notti a conversare col padre, nell’atteggiamento d’un supplicante. Penseremo agli anni trascorsi, all’amarezza del nostro cuore, e gemeremo a causa delle nostre iniquità: ed egli le spierà con la sofferenza e le piangerà nel silenzio del deserto, come se le avesse commesse lui.

È appena uscito dalle acque del Giordano, or ora da lui santificate e rese feconde, e lo Spirito Santo lo conduce verso la solitudine. È giunta l’ora, per lui, di manifestarsi al mondo; ma prima ha un grande esempio da darci: sottraendosi alla vista del Precursore e della folla, che vide la divina Colomba posarsi sopra di lui e intese la voce del Padre celeste, si dirige là, verso il deserto. A breve distanza dal fiume s’eleva un’aspra e selvaggia montagna, chiamata in seguito dalle età cristiane la montagna della Quarantena. Dalla sua ripida cresta si domina la pianura di Gerico, il corso del Giordano e il Mar Morto, che ricorda la collera di Dio. Là, nel fondo d’una grotta naturale approfondita nella roccia, si viene a stabilire il Figlio dell’Eterno, senz’altra compagnia che le bestie, che hanno scelta in quei luoghi la loro tana. Gesù vi penetra senz’alcun alimento per sostenere le sue forze umane; in quello scosceso ridotto manca perfino l’acqua per dissetarlo; solo la nuda pietra si offe a dar riposo alle sue membra spossate. Non prima di quaranta giorni gli Angeli s’avvicineranno e verranno a porgergli il nutrimento.

È così che il Salvatore ci precede e sorpassa nella via della santa Quaresima: provandola e adempiendola prima di noi, per far tacere col suo esempio tutti i nostri pretesti, tutti i nostri ragionamenti, e tutte le ripugnanze della nostra mollezza e della nostra superbia. Accettiamo quest’insegnamento in tutta la sua estensione e comprendiamo finalmente la legge dell’espiazione. Il Figlio di Dio, disceso da quell’austera montagna, apre la sua predicazione con questa sentenza, che indirizza a tutti gli uomini: “Fate penitenza, ché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Apriamo i nostri cuori a quest’invito del Redentore, affinché non sia obbligato a destarci dal nostro sonno con quella orribile minaccia che fece intendere in altra circostanza: “Se non farete penitenza, perirete tutti” (Lc 13,3).

La vera penitenza.

Ora, la penitenza consiste nella contrizione del cuore e nella mortificazione del corpo: due parti che le sono essenziali. È stato il cuore dell’uomo a volere il male, e spesso il corpo l’ha aiutato a commetterlo. D’altra parte, essendo l’uomo composto dell’uno e dell’altro egli li deve unire entrambi nell’omaggio che rende a Dio. Il corpo avrà parte o alle delizie dell’eternità o ai tormenti dell’inferno; non c’è, dunque, vita cristiana completa, e neppure valida espiazione, se nell’una e nell’altra esso non si associa all’anima.

                  La conversione del cuore.

Ma il principio della vera penitenza sta nel cuore: lo impariamo dal Vangelo negli esempi del figliuol prodigo, della peccatrice, di Zaccheo il pubblicano e di san Pietro. Perciò bisogna che il cuore abbandoni per sempre il peccato, che se ne dolga amaramente, che lo detesti e ne fugga le occasioni. A significare tale disposizione la Sacra Scrittura si serve di un’espressione ch’è passata nel linguaggio cristiano, e ritrae mirabilmente lo stato dell’anima sinceramente ravveduta dal peccato: essa lo chiama Conversione. Il cristiano, durante la Quaresima, deve esercitarsi nella penitenza del cuore e considerarla come il fondamento essenziale di tutti gli atti propri di questo santo tempo. Ma sarebbe sempre illusoria, se non aggiungesse l’omaggio del corpo ai sentimenti interni ch’essa ispira. Il Salvatore, sulla montagna non s’accontenta di genere e di piangere sui nostri peccati: li espia con la sofferenza del proprio corpo; e la Chiesa, ch’è la sua infallibile interprete, ci ammonisce che non sarà accolta la penitenza del nostro cuore, se non l’uniremo all’esatta osservanza dell’astinenza e del digiuno.

Necessità dell’espiazione.

Come s’illudono, dunque, tanti onesti cristiani che si credono irreprensibili, specialmente quando dimenticano il loro passato e si paragonano agli altri, e, pienamente soddisfatti di se stessi, non riflettono mai ai pericoli d’una vita comoda ch’essi contano di condurre fino all’ultimo momento! A volte essi credono di non dover più pensare ai loro peccati: non li hanno confessati sinceramente? La regolarità con la quale conducono ormai la vita non è prova della loro solida virtù? Che hanno ancora da fare con la giustizia di Dio? E li vediamo puntualmente sollecitare tutte le dispense possibili, nella Quaresima: perché l’astinenza sarebbe loro d’incomodo, e il digiuno non è più conciliabile con la salute, con le occupazioni e le abitudini di oggi. Non pretendono affatto di essere migliori di questi e quelli che non digiunano e non fanno astinenza; e siccome non sono neppure capaci di avere il pensiero di supplire con altre pratiche di penitenza, quelle prescritte dalla Chiesa, è chiaro che, senza accorgersi e insensibilmente, finiranno col non essere più cristiani.

La Chiesa, testimone di questa spaventevole decadenza del senso soprannaturale, temendo una resistenza che accelererebbe ancora di più le ultime pulsazioni d’una vita moribonda, continua ad allargare la via delle mitigazioni; nella speranza di conservare una scintilla di cristianesimo, in un avvenire migliore, essa preferisce affidare alla giustizia di Dio i figli che non l’ascoltano più, quando indica loro i mezzi di propiziarsi quella giustizia fin da questo mondo. E quei cristiani s’abbandonano alla massima sicurezza, senza darsi mai il pensiero di paragonare la loro vita con gli esempi di Gesù Cristo e dei Santi, e con le norme secolari della penitenza cristiana.

Dispense e tiepidezza.

Vi sono senza dubbio delle eccezioni ad un simile pericoloso rilassamento, ma quanto sono rare, specialmente nelle nostre città! Quali pregiudizi, quali vani pretesti e quali infausti esempi contribuiscono a guastare le anime! Quante volte, dalla bocca di quegli stessi che si gloriano della prerogativa di cattolici, si sente pronunciare l’ingenua scusa che non fanno astinenza e non digiunano, perché l’astinenza e il digiuno li mettono a disagio e li affaticano troppo! come se l’astinenza e il digiuno non avessero precisamente lo scopo d’imporre su questo corpo di peccato (Rm 6,6) un giogo penoso! Veramente costoro sembrano aver perduto il senno. Ma quanto sarà grande la loro meraviglia quando il Signore, nel giorno del suo giudizio li metterà a confronto con tanti poveri musulmani che, in seno ad una religione tanto sensuale e depravata, pure sanno trovare in sé ogni anno il coraggio di adempiere le dure privazioni dei trenta giorni del loro Ramadan!

Ma è proprio necessario confrontarli con altri quelli che si dicono incapaci di sopportare le astinenze e i digiuni così ridotti di una Quaresima, quando Dio li vede ogni giorno sovraccaricarsi di tante e ben più penose fatiche nella ricerca degli interessi e dei godimenti di questo mondo? Quanta salute sciupata nei piaceri, almeno frivoli, e sempre pericolosi! l’avessero invece mantenuta in tutto il suo vigore, e fosse stata la loro vita regolata e dominata dalla legge cristiana, piuttosto che dal desiderio di piacere al mondo! Ma la rilassatezza è tale, che non si concepisce nessun turbamento e nessun rimorso; si rimanda la Quaresima al Medio Evo, senza osservare che la remissività della Chiesa ha sempre proporzionato le osservanze alla nostra debolezza fisica e morale. S’è conservata o riconquistata, per la misericordia divina, la fede dei padri; e non ci si è ancora ricordati che la pratica della Quaresima è un indice essenziale di cattolicesimo, e che la Riforma protestante del XVI secolo ebbe come una delle sue principali finalità, scritta pure sulla sua bandiera, l’abolizione dell’astinenza e del digiuno.

Dispensa legittima e necessità del pentimento.

Ma, si dirà, vi possono essere delle legittime dispense? Sicuramente ve ne sono, e, in questo secolo di svigorimento generale, ben di più che nei secoli precedenti. Però stiamo bene attenti a non equivocare. Se tu hai forze per tollerare altre fatiche, perché non ne avrai per compiere il dovere dell’astinenza? Che se ti arresta il timore d’un lieve incomodo, hai dimenticato che i peccati non saranno rimessi senza espiazione? L’opinione dei medici che presagiscono un indebolimento delle tue forze, in seguito al digiuno, può avere una fondata ragione; ma la questione è di sapere, se questa mortificazione della carne, la Chiesa non te la prescrive appunto nell’interesse della tua anima. Ma ammettiamo pure che la dispensa sia legittima, che la tua salute correrebbe un vero pericolo, e che, se osservassi alla lettera le prescrizioni della Chiesa, ne soffrirebbero i tuoi doveri essenziali; in questo caso, pensi di sostituire con altre opere di penitenza quelle che le tue forze non ti permettono di praticare? chiedi a Dio la grazia di potere, un’altr’anno, partecipare ai meriti dei tuoi fratelli, adempiendo con essi quelle sante pratiche che devono essere il motivo della misericordia e del perdono? Se è così, la dispensa non ti nuocerà; e quando la festa di Pasqua inviterà i figli fedeli della Chiesa alle sue ineffabili gioie, anche tu potrai unirti fiducioso a quelli che avranno digiunato; perché, se la debolezza del tuo corpo non t’avrà permesso di seguirli esteriormente, il tuo cuore sarà rimasto fedele allo spirito della Quaresima.

Beneficio dell’istituzione del digiuno.

Scrivendo queste pagine, abbiamo di mira solo i lettori cristiani che ci hanno seguiti fino a questo punto; ma che sarebbe, se dovessimo considerare il risultato della sospensione delle sante leggi della Quaresima sopra la massa delle popolazioni, specialmente delle città? Perché i nostri scrittori cattolici, i quali hanno illustrate tante questioni, non hanno insistito sui tristi effetti che produce nella società la cessazione d’una pratica che, mentre ricorda ogni anno il bisogno dell’espiazione, conserverebbe più d’ogni altra istituzione il sentimento del bene e del male? Non occorre riflettere a lungo, per comprendere la superiorità di un popolo che s’impone, per quaranta giorni all’anno, una serie di privazioni, allo scopo di riparare le violazioni da esso commesse nell’ordine morale, sopra un altro che in nessun periodo dell’anno pensa alla riparazione ed all’emendamento.

Coraggio e confidenza.

Si rianimino di coraggio, dunque, i figli della Chiesa, ed aspirino a quella pace della coscienza ch’è solo assicurata all’anima veramente penitente. L’innocenza perduta si riacquista con l’umile confessione della colpa, quando è accompagnata dall’assoluzione del sacerdote; ma il fedele si guarderà bene dal pericoloso pregiudizio, che non ha più niente da fare dopo il perdono. Ricordiamo l’avvertimento così grave dello Spirito Santo nella Scrittura: “Del peccato perdonato non essere senza timore” (Eccli 5,5). La certezza del perdono è in ragione del mutamento del cuore; e tanto più uno si può abbandonare alla confidenza, quanto più costante ha in sé il dispiacere dei peccati e la premura di espiarli per tutta la vita. “L’uomo non sa se sia degno di amore o di odio” (Eccli 9,1), aggiunge la Scrittura; e può sperare d’essere degno di amore colui che sente in sé di non essere abbandonato dallo spirito di penitenza.

La preghiera.

Entriamo dunque risoluti nella santa via che la Chiesa apre davanti a noi, e fecondiamo il nostro digiuno con gli altri due mezzi che Dio ci indica nei Libri sacri: la Preghiera e l’Elemosina. Come con la parola digiuno la Chiesa intende tutte le opere della mortificazione cristiana, così con quella della preghiera essa comprende tutti quei pii esercizi, per mezzo dei quali l’anima s’indirizza a Dio. La frequenza più assidua alla chiesa, l’assistenza quotidiana al santo Sacrificio, le devote letture, la meditazione sulle verità della salvezza e sui patimenti del Redentore, l’esame di coscienza, la recita dei Salmi, l’assistenza alla predicazione particolare di questo santo tempo, e soprattutto il ricevere i Sacramenti della Penitenza e della Eucaristia, sono i principali mezzi coi quali i fedeli possono offrire al Signore l’omaggio della loro preghiera.

L’elemosina.

L’elemosina contiene tutte le opere di misericordia verso il prossimo; e i santi Dottori della Chiesa l’hanno all’unanimità raccomandata, come il complemento necessario del Digiuno e della Preghiera durante la Quaresima. È una legge stabilita da Dio, alla quale egli stesso ha voluto assoggettarsi, che la carità esercitata verso i nostri fratelli, con l’intenzione di piacere a lui, ottiene sul suo cuore paterno lo stesso effetto che se fosse esercitata direttamente su di Lui; tale è la forza e la santità del legame col quale ha voluto unire gli uomini fra di loro. E, come egli non accetta l’amore di un cuore chiuso alla misericordia, così riconosce per vera, e come diretta a sé, la carità del cristiano che, sollevando il proprio fratello, onora quel vincolo sublime, per mezzo del quale tutti gli uomini sono uniti a formare una sola famiglia, il cui Padre è Dio. Appunto in virtù di questo sentimento, l’elemosina non è semplicemente un atto di umanità, ma s’innalza alla dignità d’un atto di religione, che sale direttamente a Dio e ne placa la giustizia.

Ricordiamo l’ultima raccomandazione che fece l’Arcangelo san Raffaele alla famiglia di Tobia, prima di risalire al cielo: “Buona cosa è la preghiera col digiuno, e l’elemosina val più dei monti di tesori d’oro, perché l’elemosina libera dalla morte, purifica dai peccati, fa trovare la misericordia e la vita eterna” (Tb 12,8-9). Non è meno precisa la dottrina dei Libri Sapienziali: “L’acqua spegne la fiamma, e l’elemosina resiste ai peccati” (Eccli 3,33). “Nascondi l’elemosina nel seno del povero, ed essa pregherà per te contro ogni male” (ivi 29,15). Che tali consolanti promesse siano sempre presenti ala mente del cristiano, e ancor più nel corso di questa santa Quarantena; e che il povero, il quale digiuna per tutto l’anno, s’accorga che questo è un tempo in cui anche il ricco s’impone delle privazioni. Di solito una vita frugale genera il superfluo, relativamente agli altri tempi dell’anno; che questo superfluo vada a sollievo dei Lazzari. Niente sarebbe più contrario allo spirito della Quaresima, che gareggiare in lusso e in spese di mensa con le stagioni in cui Dio ci permette di vivere nell’agiatezza che ci ha data. È bello che, in questi giorni di penitenza e di misericordia, la vita del povero si addolcisca, a misura che quella del ricco partecipa di più a quella frugalità ed astinenza, che sono la sorte ordinaria della maggior parte degli uomini. Allora, sia poveri che ricchi, si presenteranno con sentimento veramente fraterno a quel solenne banchetto della Pasqua che Cristo risorto ci offrirà fra quaranta giorni.

Lo spirito del raccoglimento.

Finalmente, v’è un ultimo mezzo per assicurare in noi i frutti della Quaresima, ed è lo spirito di raccoglimento e di separazione dal mondo. Le abitudini di questo santo tempo devono distinguersi sotto ogni rapporto da quelle del resto dell’anno; altrimenti l’impressione salutare che abbiamo ricevuta nel momento che la Chiesa c’imponeva la cenere sulla fronte, svanirà in pochi giorni. Perciò il cristiano deve far tregua coi vani divertimenti del secolo, con le feste mondane e coi trattenimenti profani. Quando agli spettacoli perversi e svenevoli, o alle veglie di piacere, che sogliono essere lo scoglio della virtù e il trionfo dello spirito del mondo, se in nessun tempo è lecito al discepolo di Gesù Cristo comparirvi, se non per una situazione particolare o per pura necessità, come potrebbe intervenirvi in questi giorni di penitenza e di raccoglimento, senza rinnegare in qualche misura il suo nome di cristiano, e senza rinunciare a tutti i sentimenti di un’anima penetrata del pensiero delle sue colpe e del timore dei giudizi di Dio? La società cristiana oggi, purtroppo, non ha più, durante la Quaresima, quella gravità esteriore di austera tristezza che abbiamo ammirato nei secoli di fede; ma fra Dio e l’uomo, e l’uomo e Dio, nulla è mutato; e rimane sempre la grande parola: “Se non farete penitenza, perirete tutti”. Oggi sono molto pochi a dare ascolto a quella parola, e per questo molti periscono. Ma coloro nei quali essa cade, devono ricordarsi degli ammonimenti che dava il Salvatore nella Domenica di Sessagesima: egli diceva che parte della semente viene calpestata dai passanti, o divorata dagli uccelli dell’aria; parte è seccata dall’aridità dei sassi che la ricevono; e parte, infine, è soffocata dalle spine. Perciò, non risparmiamo cure, affinché diventiamo quella buona terra, che non solo riceve la semente, ma ne centuplica i frutti per la raccolta del Signore che si avvicina.

L’attraente austerità della Quaresima.

Leggendo queste pagine, nelle quali ci siamo sforzati d’esprimere il pensiero della Chiesa così come ci viene significato, oltre che nella Liturgia, anche nei santi canoni dei Concili e negli scritti dei santi Dottori, forse più d’uno dei nostri lettori avrà rimpianto la dolce e graziosa poesia, di cui si mostrava ricco l’anno liturgico nei quaranta giorni che celebrammo la nascita dell’Emmanuele. Già il Tempo della Settuagesima venne a stendere un mesto velo su quelle sorridenti immagini; ed ora siamo entrati in un deserto arido, irto di spine e privo d’acque zampillanti. Ma non dobbiamo dolercene, perché la Chiesa conosce i nostri veri bisogni e li vuole appagare. Per avvicinarsi al Bambino Gesù, essa non ci chiese che una leggera preparazione, con l’Avvento, perché i misteri dell’Uomo-Dio erano ancora all’inizio.

Molti vennero al presepio con la semplicità dei pastori betlemiti, non conoscendo ancora abbastanza né la santità del Dio incarnato, né la precaria e colpevole condizione della loro anima; ma oggi che il Figlio dell’Eterno è entrato nella via della penitenza, e fra poco lo vedremo in preda a tutte le umiliazioni e a tutti i dolori, sull’albero della croce, la Chiesa ci fa uscire dalla nostra sciocca sicurezza, e vuole che ci percotiamo il petto, che affliggiamo le nostre anime e mortifichiamo i nostri corpi, perché siamo peccatori. La penitenza dovrebbe essere il retaggio dell’intera nostra vita; le anime ferventi non l’interrompono mai; è quindi giusto e salutare per noi, che una buona volta ne facciamo almeno la prova, in questi giorni che il Salvatore soffre nel deserto, in attesa del momento in cui spirerà sul Calvario. Raccogliamo ancora dalle sue labbra le parole che rivolse alle donne di Gerusalemme che piangevano al suo passaggio, il giorno della sua Passione: “Ché se si tratta così il legno verde, che sarà del secco?” (Lc 23,31). Ma, per la misericordia del Redentore, il legno secco può riprendere la linfa e sfuggire al fuoco.

Tale è la speranza e il desiderio della santa Chiesa, ed è per questo che ci impone il giogo della Quaresima. Percorrendo costantemente questa via faticosa, i nostri occhi a poco a poco vedranno brillare la luce. Se eravamo lontani da Dio col peccato, questo santo tempo sarà la nostra via purgativa, come dicono i mistici dottori; e i nostri occhi si purificheranno, perché arrivino a contemplare il Dio vincitore della morte. Se poi camminiamo già nei sentieri della via illuminativa, dopo aver approfondito così vantaggiosamente la bassezza delle nostre miserie, nel Tempo della Settuagesima, ritroveremo ora Colui ch’è nostra Luce; infatti, se abbiamo saputo vederlo sotto le sembianze del Bambino di Betlem, lo riconosceremo anche, senza fatica, nel divino Penitente del deserto e presto nella vittima sanguinante del Calvario.

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