Mistica del Tempo pasquale

MISTICA DEL TEMPO PASQUALE

Il vertice dell’Anno Liturgico.

Tra tutti i periodi dell’Anno Liturgico, il Tempo Pasquale è sicuramente il più fecondo per i grandi misteri che commemora: il punto culminante di tutta la Mistica liturgica dell’Anno. Chiunque ha la fortuna di penetrare, con la pienezza dello spirito e del cuore, nell’amore e nell’intendimento del mistero pasquale, può dirsi giunto al centro stesso della vita soprannaturale; ed è per questo motivo che la Santa Madre Chiesa, venendo in aiuto alla nostra debolezza, ogni anno ci invita nuovamente a commemorarlo.

Ciò che l’ha preceduto non ne era che la preparazione: l’attesa dell’Avvento, la gioia del Tempo Natalizio, i grandi ed austeri pensieri della Settuagesima, la compunzione e la penitenza della Quaresima, la visione lacerante della Passione; tutta questa serie di sentimenti e di fatti meravigliosi convergevano alla meta a cui siamo giunti. E per farci capire meglio che la solennità di Pasqua rappresenta ciò che sulla terra vi è di più importante per l’uomo, Dio ha voluto che questi due grandi misteri, tesi ad un unico fine, la Pasqua e la Pentecoste, venissero offerti alla Chiesa nascente dopo un passato che contava già quindici secoli: periodo enorme, che non è però sembrato troppo lungo alla Divina Sapienza per preparare, con apposite figure, le grandi realtà di cui noi oggi siamo in possesso.

In questi giorni si uniscono le due grandi manifestazioni di Dio verso gli uomini: la Pasqua d’Israele e la Pasqua Cristiana; la Pentecoste del Sinai e la Pentecoste della Chiesa; i simboli, concessi ad uno solo tra i popoli, e la verità svelata e propagata a tutte le nazioni. Dobbiamo ora dimostrare dettagliatamente come le antiche figure si siano avverate nella realtà della nuova Pasqua e della Pentecoste: il crepuscolo della legge mosaica lascia il posto allo splendore del giorno evangelico. Ma noi ci sentiamo compresi da profondo rispetto, riflettendo che le solennità che noi celebriamo contano già più di tremila anni di esistenza, e che esse si ripeteranno ogni anno, finché non si udirà la voce dell’angelo gridare: “non vi sarà più tempo” (Ap 10,6). Allora vedremo aprirsi le porte dell’eternità!

La Pasqua eterna.

L’eternità felice è la vera Pasqua: ed è per questo che la Pasqua di quaggiù è la Festa delle feste, la Solennità delle solennità. Il genere umano era in preda alla morte, si sentiva oppresso sotto la sentenza che lo aveva lasciato nella polvere del sepolcro: le porte della vita gli erano chiuse. Ed ora ecco che il Figlio di Dio esce dalla tomba ed entra in possesso della vita eterna; e non sarà lui solo a non morir più; il suo Apostolo ci insegna che Egli “è il primogenito tra i morti” (Col 1,18). La Santa Chiesa vuole dunque che noi ci consideriamo risorti con lui, come fossimo già in possesso della vita che non ha fine. I Santi Padri dicono che questi cinquanta giorni del tempo pasquale sono l’immagine della beatitudine eterna. Essi sono completamente consacrati alla gioia, esclusa ogni tristezza; e la Chiesa non sa più rivolgere la parola al suo Sposo senza intramezzarla con l’Alleluia, questo grido del ciclo che risuona nelle vie e nelle piazze della Gerusalemme Celeste, secondo quanto ci dice la Liturgia. Eravamo stati privati di quel canto di ammirazione, di allegrezza durante nove settimane: dovevamo immolarci insieme con Cristo, nostra vittima; ma adesso che siamo usciti con Lui dalla tomba e che non vogliamo più morire di quella morte che uccide l’anima e fa spirare sulla Croce il nostro Redentore, l’Alleluia è di nuovo a noi!

La Pasqua e la natura.

La sapiente provvidenza di Dio, che ha disposto in una perfetta armonia l’opera visibile di questo mondo e l’opera soprannaturale della grazia, ha voluto far coincidere la risurrezione del nostro divin Salvatore con l’epoca in cui anche la natura sembra uscire dalla sua tomba. I campi rinverdiscono, gli alberi della foresta hanno rimesso le foglie, il canto degli uccelli rallegra l’aere, e il sole, emblema di Gesù trionfante, versa fiotti di luce sulla terra rigenerata. A Natale invece, liberandosi a stento dalle ombre che sembravano minacciare di spegnerlo per sempre, l’astro benefico si mostrava in armonia con la nascita dell’Emmanuele, avvenuta nel profondo della notte, sotto umili spoglie; oggi possiamo dire insieme con il salmista: “È un campione che si slancia a correre la sua via… e nulla si asconde al suo calore” (Sal 18,6-7). Ascoltate la sua voce nel Cantico (2,10-13) ove invita l’anima fedele ad unirsi a questa vita nuova che comunica a tutto ciò che respira: “Levati, amata mia colomba” esso dice “e vientene; perché, vedi, l’inverno è passato, la pioggia è passata, se n’è ita. I fiori si mostrano per la campagna, si ode per la nostra contrada il tubar della tortora. Il fico getta i suoi frutterelli, le viti in fiore mandano il loro profumo”.

Nobiltà della Domenica.

Nel capitolo precedente abbiamo spiegato perché il Figlio di Dio avesse scelto la domenica, a preferenza di tutti gli altri giorni, per trionfar della morte e proclamar la vita.

Non poteva dimostrare con maggiore energia, come tutto il creato si rinnova nella Pasqua, che ridando l’immortalità all’uomo, attraverso la sua persona, nel medesimo giorno in cui aveva creato la luce dal nulla. Non soltanto l’anniversario della sua Risurrezione diventa d’ora in avanti il più importante dei giorni, ma; in ogni settimana, la domenica ricorderà la Pasqua, sarà la giornata sacra.

Israele, secondo il comandamento di Dio, festeggiava il Sabato per onorare il giorno del riposo del Signore dopo l’opera della creazione: la santa Chiesa, sposa del Cristo, si associa all’opera stessa dello Sposo. Lascia trascorrere il Sabato, il giorno che Egli passò nel riposo del sepolcro, ma, illuminata dagli splendori della Risurrezione, consacra d’ora in poi il primo giorno della settimana alla contemplazione dell’opera divina, che vide di volta in volta uscire dall’ombra e la luce materiale, prima manifestazione della vita sul caos, e colui che, essendo lo Splendore eterno del Padre, si è degnato di dirci: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12).

Che la settimana, dunque, termini pure col suo Sabato: a noi cristiani occorre l’ottavo giorno, quello che supera la misura del tempo; a noi occorre il giorno dell’eternità, il giorno in cui la luce non sarà più intermittente, né data con circospezione, ma si spanderà senza fine e senza limiti. Così parlano i santi Dottori della fede, rivelandoci gli splendori della domenica ed il motivo dell’abrogazione del sabato.

Senza dubbio era bello per l’uomo prendere quale giorno di religioso riposo settimanale quello stesso in cui il creatore del mondo visibile si era riposato; ma in esso non si trovava che il ricordo della creazione materiale.

Il Verbo riappare nel mondo, che egli aveva creato nel principio: questa volta nasconde la luce della sua natura divina sotto i veli della carne umana. È venuto a compiere la realizzazione delle antiche figure. Prima di abrogare il Sabato vuole realizzarlo nella sua persona, come tutto il resto della legge, passandolo nell’assoluto riposo, dopo il travaglio della Passione, sotto la volta funebre del sepolcro. Ma ai primi albori dell’ottavo giorno il divin prigioniero si slancia verso la vita e inaugura il regno della gloria. “Lasciamo dunque” ci dice Ruperto “lasciamo all’ebreo, schiavo dell’amore per i beni di questo mondo, di abbandonarsi alla gioia ormai sorpassata del suo sabato, che non rappresenta più altro che il ricordo di una creazione materiale. Assorto in questioni terrestri, esso non ha saputo riconoscere il Signore che ha creato il mondo; non ha voluto vedere in lui il Re dei Giudei, perché Egli diceva loro: ‘Beati i poveri’. Il Sabato dei cristiani, il nostro Sabato, è l’ottavo giorno, che, allo stesso tempo, è il primo; e la gioia che noi vi attingiamo non viene dal fatto che il mondo è stato creato, ma piuttosto da quello che esso è stato salvato”.

Il mistero del settenario seguito da un ottavo giorno, che è quello sacro, ha un’applicazione nuova e ancor più larga nella stessa disposizione del Tempo Pasquale. Questo periodo si compone di sette settimane, che formano una settimana di settimane, di cui il giorno seguente viene di nuovo ad essere una domenica, quella di Pentecoste. Dio stesso stabilì, senza che noi ne comprendiamo il mistero, il numero di questi giorni, quando istituì, nel deserto del Sinai, la prima Pentecoste, cinquanta giorni dopo la prima Pasqua. Quest’ordine fu raccolto dagli Apostoli per essere applicato al periodo pasquale dei cristiani. Ce lo insegna sant’Ilario di Poitiers, la cui dottrina ci viene trasmessa da sant’Isidoro, da Amalario, da Raban “Maur”, e generalmente da tutti gli antichi interpreti dei misteri liturgici. “Se noi moltiplichiamo per sette il settenario – egli ci dice – riconosceremo che questo santo periodo di tempo è veramente il sabato dei sabati; ma ciò che lo completa e lo eleva fino alla pienezza evangelica, è l’ottavo giorno che lo segue, quel giorno che è contemporaneamente il primo e l’ottavo. Gli apostoli hanno fatto delle sette settimane una istituzione così sacra, che durante tutto questo tempo non si deve genuflettere in segno di adorazione né turbare, col digiuno, le delizie spirituali di questa festa così prolungata. La medesima disposizione si estende ad ogni domenica, poiché questo giorno, che segue il sabato, è divenuto, mediante l’applicazione dei progressi evangelici, il perfezionamento del sabato stesso e il giorno che noi passiamo festosamente e nell’allegrezza”.

Cosi, dunque, maggiormente sviluppato nella forma, noi ritroviamo nel Tempo Pasquale lo stesso mistero che in ogni domenica ci viene ricordato. Tutto per noi ormai ha la sua data di origine nel primo giorno della settimana, perché la resurrezione del Cristo l’ha illuminato per sempre della sua gloria, di cui la creazione della stessa luce materiale non era che un’ombra. Abbiamo visto poco fa che questa istituzione era già accennata nell’antica Legge, anche se il popolo d’Israele ancora non ne possedeva il segreto.

La Pentecoste degli Ebrei cadeva nel cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, in quello, ossia, che seguiva immediatamente le sette settimane. Un’altra figura del nostro Tempo Pasquale la troviamo pure in una delle prescrizioni che Dio aveva dato a Mosè nell’anno giubilare. In ogni cinquantesimo anno le case ed i campi che erano stati alienati durante gli altri quarantanove precedenti, dovevano ritornare ai loro possessori, e gli Israeliti che la miseria aveva costretto a vendersi, avrebbero riacquistata la loro libertà. Quell’anno, chiamato espressamente anno sabbatico, seguiva le sette settimane di anni che l’avevano preceduto e portava così l’immagine del nostro ottavo giorno, nel quale il Figlio di Maria, risuscitato, ci ha riscattato dalla schiavitù della tomba, facendoci tornare eredi della nostra immortalità.

Usi liturgici.

Gli usi liturgici che caratterizzano il Tempo Pasquale nell’attuale disciplina dei riti sono principalmente i due seguenti: la ripetizione continua dell’Alleluia, di cui abbiamo già parlato poco fa, e l’impiego dei colori bianco e rosso, secondo le esigenze delle due solennità, di cui una apre questo periodo e l’altra lo chiude.

Si esige il colore bianco per il mistero della Risurrezione, che è quello della luce eterna, luce senza ombra e senza macchia, e che produce in coloro che lo contemplano un sentimento di inenarrabile purezza e di beatitudine sempre crescente.

La Pentecoste, che fin da questa vita ci dona lo Spirito Santo con il suo fuoco che brucia, col suo amore che consuma, richiedeva un colore speciale che potesse esserne l’espressione e la Chiesa ha scelto il rosso per esprimere il mistero del divino Paraclito, che, manifestandosi in lingue di fuoco, scese su tutti coloro che si erano radunati nel Cenacolo. Più sopra abbiamo già detto che nella liturgia latina non restano che poche tracce dell’antico uso di non genuflettere durante il Tempo Pasquale.

Le feste dei Santi, sospese in tutto il corso della settimana precedente la Pasqua, lo saranno ancora durante i primi otto giorni del Tempo Pasquale, ma, dopo, esse ricompariranno nel ciclo, gioconde e numerose, attorno al Sole Divino. Lo scorteranno nella sua gloriosa Ascensione; ma, tanto grandioso è il mistero della Pentecoste, che ne verranno nuovamente sospese a cominciare dalla vigilia di questa solennità fino al termine di tutto il Tempo Pasquale.

I riti della Chiesa primitiva in rapporto ai neofiti che erano stati rigenerati nella notte di Pasqua, offrono ancora numerosissimi episodi del più commovente interesse. Non è qui il momento di parlarne, poiché non si riferiscono che alle due ottave, quelle della Pasqua e della Pentecoste; ma ne daremo ampie spiegazioni a mano a mano che se ne presenterà l’occasione nello svolgersi della Liturgia.

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