22. L’orazione domenicale

XXII – L’ORAZIONE DOMENICALE

Poiché Dio ci ha detto: «Quando volete pregare, dite: Padre nostro, che sei nei deli, sia santificato il tuo nome» (Le 11,2), qual occasione migliore di questa per elevar a Dio tale preghiera? Così dunque il sacerdote ci fa udire il Pater Noster… L’orazione domenicale ha occupato sempre nel santo Sacrificio il medesimo luogo che occupa oggi, poiché la troviamo in tutte le liturgie, in tutti i Canoni. Inoltre, la Chiesa l’adopera sempre, in tutte le occasioni solenni. Essa costituisce per noi un sostegno e porta con sé la garanzia del medesimo Gesù Cristo, che ci ha detto: “Quando vorrete pregare, dite: Pater noster“. La Chiesa fa precedere tale orazione da queste magnifiche parole: Praeceptis salutaribus moniti, et divina institutione formati, audemus dicere. Sì, se parliamo, se formuliamo le domande che stanno per seguire, ci fondiamo sul precetto che ci comanda di pregare così, precetto che abbiamo ricevuto dal divin Maestro per la nostra salvezza. Egli medesimo ci ha istruito con le sue divine labbra, perciò osiamo dire, audemus dicere: Pater noster.
Il sacerdote presenta a Dio le sette petizioni dell’orazione domenicale. Le prime tre riguardano Dio stesso e trattano dell’amore di benevolenza. Nostro Signore ci mette così sulla via dell’amore più puro. Pater noster qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum, “sia santificato il tuo nome”, cioè “ti venga reso tutto l’onore e il rispetto che merita, perché questo ti è dovuto”. Adveniat regnum tuum, “venga presto il tuo regno”: ossia “che il tuo regno si stabilisca in tutti e su tutti, perché tu sei vero re”. Fiat voluntas tua, sicut in caelo, et in terra, “sia fatta la tua volontà qui in terra dagli uomini, così come è compiuta in cielo dagli Angeli e dai beati”.
Dopo aver pregato – secondo gl’insegnamenti dello stesso Gesù Cristo – perché venga il regno di Dio e tutta la creazione lo glorifichi, il sacerdote aggiunge le altre quattro petizioni dell’orazione domenicale, che trattano di ciò che ci è necessario.
Panem nostrum quotidianum da nobis hodie. Domandiamo il pane quotidiano, e Nostro Signore, facendoci dire dacci oggi, vuoi farci intendere che, non sapendo se vivremo domani, è inutile che ci preoccupiamo di ciò che può succeder in un giorno che non è nostro. E chiediamo non solamente il pane per il corpo, ma anche per l’anima, poiché l’anima pure ha bisogno di essere nutrita. Perciò uno degli Evangelisti dice a questo punto: panem nostrum supersubstantialem da nobis hodie (Mt 6,11). Questo pane è sull’altare, e vi è per nutrire le anime nostre, perciò questo è il momento di domandarlo a Dio.
Poi, giacché siamo peccatori, dobbiamo domandare perdono: Et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostrìs. “Sì, perdonaci ciò che abbiamo fatto contro di te”. Noi stessi diamo la misura di questo perdono, pregando Dio che ci perdoni come noi perdoniamo a coloro che ci hanno offeso.
Et ne nos inducas in tentatione, “e non ci indurre in tentazione”, ossia: “liberaci dalla tentazione”. Quantunque entri nei disegni di Dio l’esporci alla tentazione per provarci e farci acquistare meriti, possiamo tuttavia chiedergli di preservarci dal pericolo, poiché per la nostra fragilità potremmo facilmente cadervi.
Sed libera nos a malo, “ma liberaci dal male”. Si racchiudono in questa formula due petizioni: chiediamo a Dio che ci liberi dal maligno, cioè dal demonio, che cerca continuamente di farci cadere nel male, e gli chiediamo al tempo stesso che ci salvi dall’abisso del peccato, se per nostra disgrazia vi fossimo caduti.

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