23. Libera nos quaesumus

XXIII – LIBERA NOS QUAESUMUS

A questo punto comincia quella parte della Messa che va sino alla seconda orazione che precede la Comunione. Quest’ultima è il mezzo adottato da Nostro Signore per riunire tutti gli uomini tra loro e farne un’unità completa ed armoniosa. Per questo, quando la Chiesa si vede forzata ad espellere dal suo seno uno dei suoi membri che s’è reso indegno d’appartenervi, lo scomunica, cioè non gli permette d’aver parte alla Comunione dei fedeli. Per esprimere quest’unione, la Chiesa, nostra Madre, vuole che la pace, risultato della carità che regna tra i fedeli, sia oggetto dun’attenzione tutta particolare. Si dispone, dunque, a chiederla nell’orazione che segue, e subito ci si darà il bacio di pace tra i fedeli (16), che esprimerà la loro mutua carità.
Nostro Signore disse nel Vangelo: «Se, presentando la tua offerta all’altare, ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì la tua offerta dinanzi all’altare, e va subito a riconciliarti col tuo fratello; allora potrai ritornare a fare la tua offerta» (Mt 5,23-24). La Chiesa si appropria completamente di questo desiderio di Gesù Cristo e si preoccupa in questo momento solenne di mantenere la pace e la carità tra tutti i suoi membri. Nelle Messe dei defunti non si da il bacio di pace, sempre per la medesima ragione che abbiamo esposto innanzi, ossia perché i morti hanno cessato d’essere sottomessi al potere della Chiesa e, di conseguenza, essa non può donar loro la pace: le nostre relazioni con loro sono completamente mutate.
Il sacerdote continua a sviluppare l’ultima domanda dell’orazione domenicale, dicendo: Libera nos, quaesumus, Domine, abomnibus malis, praeteritis, presentibus et futuris, “Fortificaci, o Signore, perché i nostri mali passati ci hanno lasciato in un lacrimevole stato di debolezza spirituale e siamo ancora come convalescenti. Preservaci dalle tentazioni che ci minacciano in questo momento e dalle afflizioni che ci opprimono, come pure dai peccati nei quali possiamo incorrere. Infine difendici da tutti i mali che possono capitarci in avvenire”. Et intercedente beata et gloriosa semper Virgine Dei Genitrice Maria, cum beatis Apostolis tuis Petro et Paulo, atque Andrea, et omnibus Sanctis. La Chiesa, avendo bisogno d’intercessori, non manca di rivolgersi alla Santa Vergine come pure ai santi apostoli Pietro e Paolo. Ma perché si aggiunge qui solamente sant’Andrea? Perché la Chiesa romana ha sempre avuto per quest’Apostolo una devozione particolare. Da propitius pacem in diebus nostris: ut, ope misericordiae tuae adjuti, et a peccato simus semper liberi, et ab omni perturbatene securi, “donaci, Signore, la pace nei nostri giorni, affinchè aiutati dal soccorso della tua misericordia siamo, innanzitutto, liberati dal peccato, e poi sicuri contro tutti gli assalti e tutti i lacci del maligno nemico”.
Tale è la magnifica orazione della pace che la santa Chiesa adopera in questo momento per tale mistero particolare della Santa Messa. Circa a metà di quest’orazione, quando il sacerdote dice: et omnibus Sanctis, fa il segno di croce con la patena, che sin dall’inizio tiene nella mano destra. Poi la bacia in segno di rispetto a questo vaso sacro, sul quale va a riposar il Corpo del Signore, perché non è mai permesso di baciare l’Ostia. Quindi, finita l’orazione, il sacerdote mette la patena sotto l’Ostia, scopre il calice, prende l’Ostia e, tenendola al di sopra del calice, la rompe nel mezzo, dicendo questa parte della conclusione: Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum Filium tuum.
Ripone allora sulla patena la parte che tiene nella mano destra; rompe una particella dell’altra metà che tiene nella mano sinistra, dicendo: Qui tecum vivit et regnai in unitate Spiritus Sacti Deus. Allora pone ugualmente sulla patena la parte dell’Ostia che aveva nella mano sinistra, e, tenendo al di sopra del calice la piccola particella che ha staccata, dice a voce alta: Per omnia sacula saeculorum. Il popolo, approvando la sua domanda e aderendo ad essa, risponde: Amen. Allora, facendo tre volte il segno di croce sul calice con la particella che tiene sempre tra le dita, dice ad alta voce: Pax Domini sit semper vobiscum. E si risponde: Et cum spiritu tuo. La Chiesa non perde di vista la pace che ha domandato, e approfitta di quest’occasione per riparlarne.
Il sacerdote lascia allora cadere nel calice la particella che aveva in mano, mescolando così il Corpo e il Sangue del Signore e dicendo al tempo stesso: Haec commixtio, et consecratio Corporìs et Sanguinis Domìni nostri Jesu Christi, fiat accipientibus nobis in vitam asternam. Amen. Che cos’è questo rito? Che cosa significa la mescolanza della particela col Sangue che è nel calice? Questo rito non è dei più antichi, quantunque risalga a più di mille anni fa. Lo scopo che si propone è d’indicare che al momento della Risurrezione del Signore il suo Sangue si unì di nuovo al suo Corpo, rientrando nelle sue vene. Non bastava che la sua Anima tornasse ad unirsi al suo Corpo, bisognava, perché il Signore fosse completo, che anche il suo Sangue fosse nel suo Corpo. Nostro Signore, risuscitando, riprese dunque il Sangue che si trovava sparso sul Calvario, nel pretorio e nell’orto degli Olivi.
Facciamo qui notar un uso, bizzarro e azzardato, che s’è introdotto tra gli Orientali dopo la separazione. Terminata la Consacrazione, essi collocano sull’altare un braciere nel quale si mantiene costantemente un recipiente con acqua bollente, e di quando in quando si mescola una piccola quantità di quest’acqua al prezioso Sangue, avendo cura, però, di non alterare le sacre specie. Questa pratica si osserva solo dal secolo XIV.
Il termine consecratio, che dice il sacerdote recitando le parole che accompagnano l’atto di mescolare la particella dell’Ostia col prezioso Sangue, non deve intendersi nel senso di Consacrazione sacramentale; qui questa parola significa semplicemente “ricongiungimento di cose sacre”.

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