Abbè Barthe: un bilancio del pontificato e il prossimo futuro

– Quali sono le ragioni [della rinunzia del Papa]? Il Papa ha parlato della sua fatica; possiamo supporre che non ha trovato il supporto che egli stesso ha rappresentato per Giovanni Paolo II?
Benedetto XVI ha accennato alla sua stanchezza. Si parla dello stato allarmante del suo cuore. Si può dire anche, in effetti, che non è riuscito, non ha saputo, non ha voluto forse, trovare aiuti forti per l’esercizio della sua carica. Sapendo che era un intellettuale di alto livello, ma non un uomo di governo, avrebbe potuto sollecitare il sostegno di un Segretario di Stato che dirigesse saldamente la Curia, di un uomo di sana dottrina all’ex S. Ufficio, di cardinali capi dei dicasteri che fossero dei potenti “baroni”, come ai tempi di Giovanni Paolo II, ma questa volta dei baroni ratzingeriani.
Ha dato l’impressione di esitare egli stesso per sapere che cosa fosse la vera “linea Ratzinger”, quella del teologo conciliare che aveva contribuito a rovesciare la Curia di Pio XII, o quella dell’autore dell’Intervista sulla fede, che per quasi 25 anni, come Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, aveva tentato di arginare il torrente del Concilio e che aveva, si può dire, intellettualmente teorizzato il processo di restaurazione iniziato da Giovanni Paolo II. Le nomine curiali di Benedetto XVI sono state per lo più, almeno dal punto di vista simbolico, della linea di Intervista sulla fede (tra gli altri: Burke, Piacenza, Sarah, Canizares, Ranjith; questo ultimo che resta, pur a migliaia di chilometri – Colombo – un uomo di Curia).
Ma c’erano anche nomine fatte, per intenderci, dal primo Ratzinger: Hummes, per un certo tempo alla Congregazione del Clero, Müller, l’anno scorso, all’ex Sant’Uffizio, Ravasi, soprattutto, un esegeta semi-liberale.
Era questo tutto il problema di questo pontificato che finisce come un concerto a metà dello spartito?
L’opposizione al Papa, varia ma feroce, ha costantemente cercato di spingerlo alla dimissione morale. Ma si ha l’impressione che è stato l’insieme dei ‘buoni’ che, con il Papa, è stato intimidito, anchilosato.
Che cosa sarebbe successo se questi uomini nominati da lui, tra cui alcuni eccellenti, avessero esercitato un potere di sostituzione come avevano fatto sotto Giovanni Paolo II, certo nel disordine, i Sodano, Re, Sandri, che possiamo stimare nocivi, o come i Medina, Castrillón, un vero ‘ataccante’, e anche come… il cardinale Ratzinger?
Papa anziano, che risparmiava le sue forze al massimo, diventato quasi inaccessibile (la maggior parte dei capi dei dicasteri non avevano conversazioni regolari con lui), protetto da un entourage dominato dalla simpaticissima personalità di Georg Gänswein, era convenuto che tutte le decisioni sensibili da prendere dovessero passare nelle mani di Benedetto XVI. E ci restavano mesi e mesi.
– Non c’è, ora, il rischio di una «frattura», tra sostenitori del vecchio e del nuovo Papa, se si può dire. E, più filosoficamente, il rischio di un relativismo, contro il quale Benedetto XVI si è così spesso levato?
La domanda implica il caso di un futuro Papa che non sia nella linea di Benedetto XVI, ma sia, non un progressista perché non ne esistono tra i papabili, ma un ‘ratzingeriano’ di sinistra, se possiamo stabilire questa categoria. In questa ipotesi, la più probabile sarebbe l’elezione di Gianfranco Ravasi, 72 anni, Presidente del Consiglio per la cultura, sul cui nome potrebbero confluire i voti di tutti i personaggi della Curia di Giovanni Paolo II messi da parte, i pochi veri progressisti e tutti coloro che, approssimativamente parlando, tra i cardinali elettori non si ritrovano nella linea restaurazionista rappresentata da questo pontificato. La macchina restaurazionista, se mi si consente l’immagine, non ha comunque lavorato che al 10% della sua capacità in materia di nomine, di liturgia, di difesa del Summorum Pontificum. Per non parlare di quanto riguarda la repressione delle eresie evidenti e dello scisma latente che quelle comportano…
Allora, in effetti, si vedrebbe non riemergere, perché è sempre stato ben presente, ma riprendere un certo numero di posti di comando a tutti i livelli, un progressismo che è in realtà un liberalismo mortifero. Il sollievo che esso manifesta dopo l’annuncio delle dimissioni dimostra che esso pensa che la sua ora è tornata. Immagino un grande scoramento, da una parte di coloro che vengon chiamati i membri delle forze vive (tradizionalismi vari, comunità nuove, giovani sacerdoti col colletto romano, comunità religiose che reclutano, famiglie, movimenti giovanili, ecc.), ma anche uno scoraggiamento dei liberali stessi, perché il loro ritorno non farebbe che accentuare la desertificazione delle diocesi, parrocchie, congregazioni.
Così il relativismo contro cui Benedetto XVI si è levato riprenderebbe ad intra tutti i suoi diritti. Questo provocherebbe il rischio di una frattura nella Chiesa? Non il rischio, ma una salutare frattura.
Fortunatamente, l’ipotesi implicita nella domanda non è la sola.
– Quale sarebbe l’ipotesi alternativa?
L’ipotesi alternativa mi sembra la più plausibile: un restaurazionista dovrebbe raccogliere i due terzi dei voti del conclave. Ma questo ci dice molto poco, perché ci sono molti gradi in questa denominazione generica, che va dal cardinale Burke al cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna. Nel 2005, se il Conclave si fosse prolungato, il cardinale Ratzinger avrebbe desistito e due uomini molto diversi umanamente, ma apparentemente di comune sentire, avrebbero potuto  emergere: il canadese cardinale Marc Ouellet, 69 anni, ora prefetto della Congregazione dei vescovi e il cardinale Angelo Scola, età 71, arcivescovo di Milano. C’è oggi anche il cardinale Dolan, 63 anni, stesso profilo, pugnace arcivescovo di New York. E se il conclave del mese prossimo durasse a lungo, perché non pensare a un cardinale di paesi emergenti, come si suol dire, dall’Asia ad esempio?… Non faccio assolutamente alcun pronostico. Ma se fossi cardinale – una “supposizione impossibile” come quella di San Francesco di Sales – e supponendo che candidati cui mi sento molto vicino sembrano non avere più chance dopo le “primarie” dei primi scrutini, io voterei Scola per vari ragionevoli motivi. Il primo è che è italiano e dopo tutto è normale che il vescovo di Roma sia italiano.
– Se d’altronde Benedetto XVI ha la sensazione che la situazione si sta disfacendo (non parlo della questione fisica), non è da considerare che preferisca che l’elezione abbia luogo ora, anziché più tardi?
Sono assolutamente d’accordo. Tanto più che la sua ombra si stenderà necessariamente sulle congregazioni di cardinali che precederanno il conclave e sul conclave stesso, nel quale entrerà, non per votare ma in qualità di prefetto della Casa Pontificia, Mons. Gänswein.
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– Che ne sarà del motu proprio Summorum Pontificum? Può essere revocato? E in che cosa questo punto (o altri) s’imporrà al prossimo successore di Pietro?
L’elemento principale del motu proprio, su cui si fondano tutte le sue disposizioni, è questa constatazione: “È pertanto permesso di celebrare il sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato”. Un participio passato (“abrogato”) negato da un avverbio di tempo (‘mai’: in nessun momento).
Questo è tutto, ma le conseguenze sono colossali. Si può immaginate un Papa che dica: “Benedetto XVI si è sbagliato, perché Paolo VI aveva eccome abrogato il Messale anteriore”? Questo non si fa. Anche se Benedetto XVI l’ha in effetti fatto nei confronti di Paolo VI. Si può immaginare un Papa che dica: “Io stesso abrogo il Messale precedente alla riforma di Paolo VI”? Fino a che un altro Papa abroghi l’abrogazione, confermando la non abrogazione? Ecc, ecc.
La questione dottrinale è: si tratta di una Messa sostanzialmente abrogabile? Non ho bisogno di dare la mia risposta.
È chiaro che un papa ostile al Summorum Pontificum potrebbe voler aumentare le condizioni frapposte alla celebrazione di Messe pubbliche straordinarie.
La cosa peraltro non sarebbe nemmeno necessaria, perché tantissimi vescovi mettono già in opera, contro la legge e contro il suo spirito, un’interpretazione già molto restrittiva. È sufficiente che il Papa li incoraggi a ciò. O più, semplicemente ancora, che continui a non farli desistere dall’agire in tal modo.
Ma il futuro Papa può anche ampliare Summorum Pontificum. E, in ogni caso, tutti i suoi utilizzatori d’ogni rango devono adoperarvisi, come dopo la riforma di Paolo VI si adoperarono per far vivere e prosperare l’antica liturgia romana.
Ne va dell’onore reso a Dio e della salvezza delle anime.
– Che ne sarà delle discussioni e del futuro della FSSPX?
Per incredibile che possa sembrare, nell’immediato futuro, nulla è cambiato. Mi spiego meglio. Tutti sanno ormai che la Commissione Ecclesia Dei ha inviato una lettera al vescovo Fellay l’8 gennaio e che si aspetta una risposta da lui il 22 febbraio, il giorno della festa della cattedra di San Pietro. In questo giorno, 22 febbraio, potrebbe essere datata l’erezione della prelatura San Pio X. Questo rappresenterebbe la vera conclusione del pontificato di Benedetto XVI: la riabilitazione di mons. Lefebvre. Potete immaginare che rombo di tuono e anche, indirettamente, quale peso nell’orientamento degli eventi di marzo.
da messainlatino.it

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