Anche in Croazia si ritorna alla S. Messa tradizionale

di Michele Poropat

Sancta Missa 25

La piccola chiesa di San Martino a Zagabria, a due passi dalla cattedrale, lo scorso 30 giugno è stata teatro di un avvenimento che non è eccessivo definire storico.

Per la prima volta in Croazia da quasi cinquant’anni a questa parte, un novello sacerdote diocesano ha celebrato la sua prima Messa nel Vetus Ordo, la forma liturgica in lingua latina promulgata nel 1962 dal Beato Giovanni XXIII, e liberalizzata dal Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI.

Il novello sacerdote si chiama Marko Tilošanec, proviene dalla Diocesi di Varaždin, nel nord-ovest della Croazia (circa 370.000 fedeli), ed è stato ordinato il 22 giugno dal vescovo locale Mons. Josip Mrzljak insieme con altri quattro diaconi. Il giorno dopo la sua ordinazione, il reverendo Tilošanec ha celebrato la sua prima Messa secondo il rito romano ordinario nel suo paese natale di Kotoriba, mentre la domenica successiva ha celebrato un’altra Prima Messa a Zagabria, questa volta nel rito tradizionale.

Nell’omelia di quest’ultima celebrazione il novello sacerdote ha affermato che “haec est dies quam fecit Dominus”, questo è un giorno fatto dal Signore, «giacché nei tempi turbolenti in cui si riteneva che la Santa Messa tradizionale in latino, la quale nella sua essenza risale ai primi secoli, non avesse diritto di cittadinanza nella Chiesa, un fatto del genere era del tutto impensabile». È un dono e una benedizione di Dio «che trascende ogni previsione e attesa umana, per la quale dobbiamo a Dio un grande ringraziamento»; allo stesso modo va ringraziato il «papa emerito Benedetto XVI, il quale ha meriti speciali per avere permesso un lento, ma stabile ritorno dell’antica liturgia nella vita della Chiesa».

In essa, ha proseguito il novello sacerdote, «troviamo la fede cattolica, pura e inalterata, nonché la liturgia della Chiesa nella sua bellezza e splendore. Qui si trova tutta la ricchezza di preghiera e di spiritualità che la Chiesa ha creato nel corso della sua storia, e per questo chiediamo di poter attingere da questa fonte perenne della grazia di Dio».

Il significato del sacerdozio e dell’Eucaristia viene spiegato richiamandosi alle parole dell’apostolo Paolo in Ebrei 5,1 e 5,4. Dio stesso, afferma il rev. Tilošanec, «unge il suo eletto, lo eleva a un grado di similitudine a se stesso, affinché egli sia mediatore tra Dio e gli uomini». La natura fondamentale del sacerdozio «viene a esprimersi in modo perfetto nella Messa tradizionale». Tutti i simboli e le cerimonie, che non sono solamente parte del rito romano, ma anche degli altri antichi riti della Chiesa, «sono derivati proprio dalla fede della Chiesa lungo i secoli che abbiamo ricevuto dagli apostoli e dallo stesso Cristo, e la liturgia rappresenta la migliore espressione di questa fede».

Proprio per questo motivo, nella Messa tradizionale «il sacerdote, uomo preso dal popolo, insieme al popolo si presenta nella stessa casa di Dio, la chiesa, ma è chiaramente separato da quel popolo affinché svolga il servizio affidatogli da Dio. Per questo motivo il sacerdote, come lo erano i ministri scelti nell’Antico Testamento, si trova in un luogo più elevato, separato, presso il grande altare che rappresenta la dimora di Dio, rivolto oppure diretto verso quello stesso altare – ad Dominum, verso il Signore. Proprio per questo vi sono preghiere che il sacerdote prega a voce bassa – poiché esse sono parte di quel mistero, del servizio divino; proprio per questo viene utilizzata la lingua latina, che è una lingua sacra, consacrata appunto al servizio divino, e per questo motivo abbiamo un Confiteor – la confessione dei peccati separata, così come anche un atto di comunione per il sacerdote e uno per il popolo, poiché egli non è solamente uno dei ministri preso dal popolo, bensì è stato scelto e unto da Dio, reso simile, anzi divenuto alter Christus“.

Il ministero svolto dal sacerdote è quello di «offrire doni e sacrifici per i peccati. Il dono di maggiore valore, e il più grande sacrificio che egli può offrire, è proprio la Santa Messa – il sacrificio incruento della Nuova Alleanza». Il senso della sua missione è espresso in modo solenne già «dalle prime parole pronunciate dal sacerdote: introibo ad altare Dei – mi accosterò all’altare di Dio». Le mani del sacerdote «vengono consacrate proprio perché possano toccare il Corpo di Cristo – distribuire questo dono divino ai fedeli e svolgere la propria opera al servizio di Dio per gli uomini».

La Santa Messa, ha proseguito il rev. Tilošanec, «è un’epifania – una manifestazione della gloria di Dio, come l’esperienza del roveto ardente che ebbe Mosè, e per incontrare Dio in modo degno, è necessario accostarsi a Lui con il cuore puro». Dal sacerdote ci si attende quindi «che a motivo della sua consacrazione, segua in modo eccezionale il suo Maestro, il Signore Gesù, nella sua vita e nel suo agire, e che si conformi costantemente al Suo esempio di santità. Per questo motivo mi raccomando nelle vostre preghiere … Preghiamo, cari fedeli, per i nostri sacerdoti, affinché nella fedeltà alla tradizione della Chiesa, la quale rappresenta l’unica garanzia del suo vero rinnovamento, siano veramente secondo il Cuore di Gesù, il cui amore essi accenderanno nel proprio agire».

Il celebrante ha incoraggiato i fedeli affinché, nonostante le prove che purtroppo talvolta vengono anche dall’interno della stessa Chiesa, essi trovino consolazione e incoraggiamento dalle grazie che rappresentano il frutto dell’atto di lode e di adorazione proprio del rito tradizionale della Santa Messa. Egli ha quindi affermato: «Facciamoci coraggio, affinché siamo pronti, come i martiri menzionati nel Canone, a dare anche la nostra vita per il nome di Cristo e la conservazione della liturgia tradizionale e della fede cattolica, giacché senza questa fede non vi è salvezza».

Questo giovane sacerdote, il cui motto è Ut in nomine Jesu omne genu flectatur (Affinché nel nome del Signore ogni ginocchio si pieghi) non è un caso raro nel panorama ecclesiale croato. Pur in presenza di una crescente spettacolarizzazione e di ‘creatività’ nella liturgia, con parti della stessa del tutto abolite per essere sostituite da canzonette spesso di origine protestante (è il caso del Gloria e dell’Agnus Dei), vi sono non pochi giovani sacerdoti che stanno riscoprendo la sacralità del servizio sacerdotale testimoniata anche dal segno esteriore dell’indossare la tonaca, che consacrano le loro parrocchie al Cuore Immacolato di Maria, che sentono la necessità di una liturgia più solenne che aiuti i fedeli a elevarsi e ad aprire il cuore alle grazie che vengono da una più intima unione con il Signore.

Così, mentre da una parte vi sono sacerdoti che introducono alcune discutibili trovate provenienti dal morente cattolicesimo occidentale post-conciliare – ad esempioobbligando i fedeli a ricevere la santa Comunione sulla mano e insegnando ai bambini che questo è l’unico modo di fare la Comunione, ve ne sono degli altri, che seguendo l’esempio di Papa Benedetto XVI, senza obbligo per alcuno, spronano i fedeli a mostrare una sempre maggiore riverenza e devozione verso la Santissima Eucaristia reintroducendo l’inginocchiatoio e proponendo la Comunione direttamente in bocca come modo migliore per aprire il cuore al mistero di Dio che si è fatto uomo e che si è fatto Pane di vita per unirsi in modo sensibile a noi.

Questo è ciò che del resto fa già da diversi anni anche il cardinal Ranjith, arcivescovo di Colombo nello Sri Lanka, il quale, seguendo l’esempio di Benedetto XVI, ha stabilito che nella sua Arcidiocesi i fedeli si accostino alla santa Comunione in ginocchio e la ricevano in bocca. Secondo il porporato è inoltre necessario da una parte favorire una sempre maggiore diffusione della Santa Messa tradizionale, e dall’altra purificare la Messa del Novus Ordo da tutti gli elementi spuri non previsti dal Concilio oppure del tutto contrari alle norme conciliari, quali la creatività liturgica, una musica non adatta al rito sacro, la spettacolarizzazione di stampo protestante e il ricevere la Comunione sulle mani.

Riferendosi al Vetus Ordo, Ranjith ritiene che esso rappresenti «in larga misura e nel modo più appagante quella chiamata mistica e trascendente a un incontro con Dio nella liturgia». Il porporato afferma che non è essenziale che l’intelletto comprenda le parole del rito, bensì che il cuore sia toccato dal Mistero e dalla grazia che emana dal Mistero medesimo, poiché solamente un più profondo contatto con Dio può nutrire l’anima e dare a essa le grazie delle quali essa ha bisogno

tratto da conciliovaticanosecondo.it

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