La Madonna Santa e il latino liturgico

 di Don Alfredo Morselli

Maria

 

1. La pazienza del tradizionalista a dura prova

Una delle obiezioni, che mette più a dura prova la pazienza del cosiddetto tradizionalista, è quella che suona nel seguente modo: «Ma io non so il latino e non capisco la Messa; la Messa in latino è incomprensibile e io desidero capire la Messa… voglio partecipare attivamente… etc etc».

E così il tradizionalista si ritrova, suo malgrado, a essere identificato come colui che non vuole capire la S. Messa, e/o come colui che neppure vuol far capire agli altri la S. Messa, e/o come colui che non vuole assolutamente partecipare attivamente alla S.Messa, e tutto questo – o tempora, o mores – dopo il Concilio! ovvero niente meno che nell’età dell’oro della liturgia, dove certe cose non dovrebbero passare neppure per l’anticamera del cervello.
Al che, il tradizionalista, avendo fatto il callo all’enchiridion stupiditatum, ovvero al Denzinger dei nuovi dogmi dell’ideologia paraconciliare – per alcuni gli unici dogmi indiscutibili – scuote la testa e riprende con maggior zelo il suo bonum certamen.
Queste righe non vogliono altro che essere, in ossequio alla natura razionale della fede, la ricerca dell’intellectusid est della credibilità e della ragionevolezza – della plurisecolare prassi della S. Madre Chiesa, assistita dallo Spirito Santo non solo negli ultimi cinquant’anni.
2. Una bella pretesa: capire la Messa

Innanzi tutto, l’espressione voglio capire la Messa è quasi blasfema (se intesa nel senso di capire perfettamente tutto): questa pretesa, spesso enunciata trionfalmente, è  a prova più eclatante della sconfitta di una certa prassi pastorale-liturgica postconciliare. La Messa non si capisce, come non si capisce la SS. Trinità, o l’Unione ipostatica. Per spiegare queste affermazioni, vorrei fare alcune considerazioni su come, verosimilmente, la Vergine Santissima assisteva alle prime S. Messe celebrate dagli Apostoli. Oltre che ad essere modello della nostra partecipazione liturgica, non si potrà dire che non partecipava attivamente!

3. La Madonna e le prime Messe celebrate dagli Apostoli

Il santo evangelista Luca ci narra due episodi della vita di Gesù, in cui si dice che la Madonna custodiva nel suo Cuore i fatti accaduti: si tratta della vista dei pastori a Gesù bambino (Lc 2,19: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”) e del ritrovamento di Gesù tra i dottori del tempio (Lc 2,52: “Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”). Possiamo ragionevolmente ritenere che Maria custodisse nel suo Cuore Immacolato non solo questi misteri della santa infanzia, ma tutti i misteri della vita del Figlio.
Ora pensiamo a quando la Vergine assisteva alle prime S.Messe celebrate dagli Apostoli. La S. Messa è innanzi tutto – simpliciter – la rinnovazione del Santo Sacrificio del Calvario, ma – secundum quid – contiene tutti i misteri della vita di Cristo: da un lato, come afferma Dionigi Certosino, “tutta la vita di Gesù Cristo è stata una celebrazione della santa Messa, nella quale Egli stesso era l’altare, il tempio, il sacerdote e la vittima”; dall’altro, come afferma il Sanchez, chi assiste a una Messa è “come se avesse vissuto ai tempi del Salvatore e avesse assistito a tutti i suoi misteri” (cit. in Martino de Cochem O.M.C., La Santa Messa, Milano 1932, p. 62). E San Bonaventura afferma che nella S. Messa ci sono tanti misteri “quante gocce d’acqua sono nel mare, quanti atomi di polvere nell’aria e quanti angeli nel cielo” (cit. in Ibidem, p. 36).
In conseguenza di ciò, quando la Vergine assisteva alla Messa, rivedeva e ripensava a tutti i misteri della vita del Figlio, misteri custoditi nel suo Cuore Immacolato.
 
4. Come la Madonna custodiva nel Cuore i misteri della vita del Figlio, e quindi della Messa.
La Madonna custodiva i Misteri della vita del Figlio alla luce della fede; noi sappiamo che la fede della Madonna è sempre stata integra e mai adulterata da alcun dubbio (cf. Lumen Gentium, 63); ma quella visione di fede non era ancora era quella comprensione perfetta che ora Ella in ha in cielo: la sua fede era certissima, ma non evidente.
Come dice San Tommaso, “la fede comporta una cognizione imperfetta (…) Trascende l’opinione, in quanto comporta una ferma adesione; rispetto alla scienza, manca del fatto che non ha l’evidenza [S. Th. Iª-IIae q. 67 a. 3 co.]”; ancora l’Aquinate: “L’atto del credere ha un’adesione ferma a una data cosa, e in questo chi crede è nelle condizioni di chi conosce per scienza, o per intuizione: tuttavia la sua conoscenza non è compiuta mediante una percezione evidente; e da questo lato chi crede è nelle condizioni di chi dubita, di chi sospetta e di chi sceglie una opinione. E sotto questo aspetto è proprio del credente cogitare approvando: ed è così che l’atto del credere si distingue da tutti gli atti intellettivi che hanno per oggetto il vero e il falso” [S. Th. IIª-IIae q. 2 a. 1 co]
La perfetta fede di Maria non implicava quindi che Ella avesse chiari tutti i misteri della fede e che non facesse alcuna fatica a credere: i misteri della fede sopravanzavano anche le capacità dell’intelletto della Madonna e quindi anche Maria pativa l’inevidenza dei misteri stessi. Anche Lei cogitava approvando.
Ora pensiamo a quando la Vergine assisteva gli Apostoli, che, tremebondi e commossi, adempivano per le prime volte al mandato fate questo in memoria di me: Ella ripercorreva tutti i misteri della vita del Figlio, non li comprendeva ancora come in Cielo, non ne aveva l’evidenza ma li serbava tutti nel suo Cuore (avendone ferma approvazione).
 
5. La parola-fatto
S. Luca, quando vuole indicare ciò che Maria Santissima custodiva nel Cuore, usa il termine greco rêma, che non significa semplicemente parola, ma corrisponde all’ebraico dabar, che significa parola-fatto. Il cristianesimo non è una teoria, è una persona, è il regno di Dio fattosi vicino nella persona di Gesù Cristo; ma non è neanche una esperienza irrazionale, bensì comprende necessariamente l’adesione a una dottrina e la formulazione di giudizi.
La parola ebraica dabar, nel suo significato di parola-fatto, è dunque particolarmente adatta ad indicare i misteri della vita di Nostro Signore, che non sono né fatti senza pensiero, né pensieri senza fatti.
Chiude dunque la porta al mistero chi ipertrofizza l’importanza della comprensione razionale esplicita rispetto al fatto, chi confonde la catechesi liturgica con la celebrazione (pensiamo alle continue mozioni spesso abusive, durante la Messa, per spiegare il mistero che, proprio perché troppo esplicitato, rimane sostanzialmente incompreso). La liturgia totalmente in volgare per capire non è altro che un goffo tentativo di rendere more geometrico demonstrato  ciò che non è dimostrabile, ma ciò di cui si può solo cogitare assentendo, alla scuola della Vergine Maria. In altre parole, una banalizzazione, da cui ci ha messi in guardia Benedetto XVI, in uno dei suoi ultimi interventi:
“Intelligibilità non vuol dire banalità, perché i grandi testi della liturgia – anche se parlati, grazie a Dio, in lingua materna – non sono facilmente intelligibili, hanno bisogno di una formazione permanente del cristiano perché cresca ed entri sempre più in profondità nel mistero e così possa comprendere. Ed anche la Parola di Dio – se penso giorno per giorno alla lettura dell’Antico Testamento, anche alla lettura delle Epistole paoline, dei Vangeli: chi potrebbe dire che capisce subito solo perché è nella propria lingua? Solo una formazione permanente del cuore e della mente può realmente creare intelligibilità ed una partecipazione che è più di una attività esteriore, che è un entrare della persona, del mio essere, nella comunione della Chiesa e così nella comunione con Cristo.
(…)
“Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata … e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e diventa la vera forza che poi è anche vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa” (Incontro con i Parroci e il Clero di Roma,  14 febbraio 2013).
6. La lingua sacra.

Quando diciamo sacro e profano, non diciamo buono e cattivo, ma parliamo di due cose in sé ottime, ma di due ordini diversi.
Sentiamo ancora San Tommaso:
“…dalle differenze di tali beni scaturiscono le differenze dell’amore di Dio verso la creatura. C’è infatti un amore universale, con il quale “egli ama tutte le cose esistenti”, come dice la Scrittura; e in forza di esso viene elargita l’esistenza naturale a tutte le cose create. C’è poi un amore speciale, di cui Dio si serve per innalzare la creatura ragionevole, sopra la condizione della natura, alla partecipazione del bene divino. E in questo ultimo caso si dice che Dio ama una persona in senso assoluto: poiché con questo amore Dio vuole senz’altro alla creatura quel bene eterno, che è lui medesimo” (S. Th. Iª-IIae q. 110 a. 1 co.)

Quando la Sacrosanctum Concilum descrive l’azione liturgica come sacra per eccellenza (§ 7), vuole indicare che la liturgia è il luogo dove per eccellenza e al massimo grado si sperimenta quell’amore speciale per cui Dio vuole alla creatura ragionevole quel bene eterno che è lui medesimo.

Quando Dio ci sostiene mentre mangiamo, lavoriamo, agiamo, senz’altro Dio ci ama: ma quando Dio ci dona se stesso, ci ama al massimo grado.
Purtroppo la banalizzazione delle istanze della nouvelle théologie ha prodotto un disastro. De Lubac, ritenendo inutile il concetto di natura pura, ha fornito una base per ogni desacralizzazione futura (di certo non voluta o pensata dallo stesso De Lubac); infatti, se non si salva la natura, realmente e concretamente, non ha più senso parlare di soprannaturale, come non ha senso parlare di un secondo piano se non c’è il primo. Tutto è soprannaturale coincide con tutto è naturale, con esiti, a cui certo De Lubac non pensava e non voleva, logicamente panteistici.
Diceva il grande Garrigou-Lagrange, nel tentativo – storicamente vano, ma dottrinalmente perennemente efficacissimo – di fermare gli equivoci della Nouvelle Théologie: Si non est natura proprie dicta, nec est supernaturale proprie dictum («De evolutionismo et de distinctione inter ordine naturale et ordine supernaturale», in AA.VV., El evolucionismo en filosofia y en teologia, Barcelona: Juan Flors, 1955, p. 277).
Perché dunque lingua sacra, canto sacro, paramenti sacra, sacra suppellettile, balaustra o iconostasi delimitante spazio sacro… non  per tener fuori i laici o per non far loro capire la Messa, ma perché, se la liturgia è la massima espressione dell’amore speciale con cui Dio dona direttamente se stesso, a misteri, frutto di un amore speciale, deve corrispondere, per la verità della cose, una lingua speciale, delle vesti speciali, uno spazio speciale, un canto speciale, dei gesti speciali…
7. In conclusione…
Partecipare a una conversazione oppure entrare nel mistero? Se partecipiamo ad una conversazione, l’unica cosa importante è capire la lingua dell’interlocutore. Ma mentre il trinariciuto vaticansecondista orripilisce davanti al minimo Dominus vobiscum, il buon cattolico non è così manicheo. Ben venga una parte più ampia (SC § 36) al vernacolo; ma, se la Messa non è una conversazione, se ciò a cui partecipiamo è un mistero; se, chiedendo in prestito alla Vergine Santissima qualche pensiero del Suo cuore, proviamo a contemplare i misteri della vita di Gesù Cristo… allora una lingua che ci ricorda che ciò che ci avvolge è un amore speciale e che ciò che cogitiamo assentendo è un dabar, una parola-fatto oggettivamente incomprensibile, ovvero comprensibile quando saremo beati – comprensori appunto – la lingua sacra è indispensabile e necessaria; con il Vaticano II diciamo che il suo uso  sia conservato (SC § 36).

E se il vaticansecondista trinariciuto mi dice:  finalmente capisco la Messa, gli rispondo: “Capiresti qualcosa della Messa se tu mi dicessi: – Ho capito che la Messa è incomprensibile – ”.

da messainlatino.it

 

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