L’abito dei chierici

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di Don Alfredo Maria Morselli,
parroco di Stiatico e Casadio (BO)

 

Talare e clergyman non sono la stessa cosa

Oggi, quando si vede un sacerdote in clergyman, ci si rallegra, perché per lo meno ci si trova di fronte a un prete che obbedisce alle norme vigenti e non ha paura di mostrare la sua identità. Però però… non è la stessa cosa che vederlo in talare.

Uno certo falso spiritualismo gnostico oggi alla moda, una delle tante anime del neo-modernismo, tende a farci dimenticare la grandiosa portata simbolica della lunga veste nera.

Le riflessioni del Ven. Jean-Jacques Olier ci faranno senz’altro meglio capire quanto un santo prete debba essere, in un certo senso, un tutt’uno con il suo santo abito

Don Alfredo Morselli

Dell’abito dei chierici
del Ven. Jean-Jacques Olier
La veste talare e la cotta, che sono l’abito della religione di Gesù Cristo (1) sono l’espressione esteriore della professione da noi fatta, di rivestirci interiormente della religione di Cristo verso il suo divino Padre.
Questa è la dichiarazione che tutti chierici devono fare ai piedi del vescovo ricevendo il santo abito. Essi testimoniano così solennemente di dedicarsi a Dio in Cristo suo Figlio, per servirlo nella sua Chiesa, di prenderlo per unico retaggio, per unico bene, per loro tutto. Allora soltanto vengono rivestiti della cotta, dopo d’aver ricevuto la tonsura e d’esser stati rivestiti di una veste talare.
Tutte queste circostanze sono molto misteriose e devono essere considerate con seria attenzione da coloro che entrano nel chiericato. Le persone incaricate dell’istruzione dei chierici, porranno gran cura nel darne le spiegazioni. Da parte loro, i chierici devono desiderare ardentemente di conoscere ciò che esse significano (2); poiché vi riscontreranno i loro obblighi principali e le disposizioni speciali che sono loro necessarie per entrare in questo stato e per abbracciare questa santa professione.
 
L’abito col quale si presenta colui che aspira al chiericato è la santa veste talare. Questo abito è il segno esterno dell’anima disposta a entrare nella vita ecclesiastica (3).
Tutto ciò che esiste di esteriore nella Chiesa del Signore governata dal suo Spirito divino e dalla sua santa saggezza, esprime qualcosa di interiore che non potrebbe essere espressa che con qualche espressione o figura sensibile (4). Il corpo significa l’anima, in noi; e con i suoi gesti, con i suoi movimenti e con le sue azioni esso scopre quali sono le sue potenze intime che altrimenti resterebbero sconosciute.
Non si saprebbe mai che l’anima ha la potenzialità di vedere, di ascoltare, di parlare, se il corpo, con le sue funzioni dipendenti dall’anima, non facesse vedere ciò che essa è in se stessa (5).
Così Nostro Signore fa apparire nella Chiesa, per mezzo di cose esteriori, ciò che vi è di più nascosto nei suoi misteri (6); e mediante le vesti e gli ornamenti di cui ricopre i suoi ministri, le cerimonie con cui vela le sue opere, egli spiega ciò che l’uomo nuovo e il suo spirito divino operano nelle anime nostre.·
Ora, poiché di tutte le vesti dell’ecclesiastico la prima è la veste talare, venerabile abito proprio dello stato ecclesiastico e prescritto dai sacri canoni stessi (7), dobbiamo vederne il significato e ciò che la Chiesa intende esprimerci per suo mezzo.
La veste talare, che è un abito nero, significa la prima delle disposizioni che deve avere il chierico e la prima parte della religione del santo clero, che è d’essere morto ad ogni amore, ad ogni stima del mondo (8). La cotta, invece, rappresenta la seconda parte di questa stessa religione, che è di non vivere che per il Signore. Si ricopre di questo abito colui che si presenta a ricevere la tonsura, per insegnargli che deve essere talmente distaccato da ogni cosa terrena, da rassomigliare a un morto, non desiderando più che Dio, in confronto del quale non esiste nulla al mondo di amabile. Così del resto dichiara il chierico allorché, spogliandosi dell’ignominia dell’abito secolare, si ricopre di questa santa veste: egli dichiara pubblicamente in faccia a tutta la Chiesa, che intende di cambiare le proprie abitudini, i propri costumi, così come cambia d’abito (9); che non intende più viver della vita terrena, ma della vita celeste; che non conosce più che Dio, non stima altri che Lui, che Egli è il suo tutto e che il resto non gli è più nulla; infine, che vuol essere come i beati che, nella visione di Dio, non vedono più che lui, o che se vedono qualche altra cosa, qualche creatura, la vedono talmente in Dio, che essa è ai loro occhi piuttosto Dio che creatura.
L’abito del chierico che rivela come egli sia il perfetto religioso di Dio, entrato nella comunione e partecipazione della religione del cielo, è la cotta. Questo è il suo abito vero, perfetto, senza del quale non può compiere alcuna delle sue funzioni (10); di modo che egli non è considerato chierico rappresentante il proprio stato, che quando ne è rivestito. Se qualche volta non porta che la veste talare, questo avviene quando egli è nel secolo (11), indegno di vedere l’innocenza, la purezza, la santità e lo splendore del suo abito divino. E se non mostra che nero agli occhi del mondo, è per significare che è morto per esso, e che egli lo considera tanto miserabile che, per vivere nella giustizia e nella grazia, bisogna morire a ciò che esso’ è; tanto è vizioso e corrotto (12)!
L’ampiezza di questo abito non ci deve stupire (13); il prete rappresenta tutto il mondo; deve portare nel cuore la religione che aveva Cristo nel suo, che è la religione universale che egli offrì al suo Padre per supplemento di quella di tutta la sua Chiesa.
Egli amava, adorava, lodava il Padre per tutti gli uomini e per tutti gli angeli. Faceva per essi ciò che non potevano degnamente fare, di modo che suppliva a tutti (4). Così egli era il religioso universale, colui che pregava lodava e glorificava Dio per tutto il mondo.
Questo Egli continua a fare nel Cielo (15) e nel Santissimo Sacramento dell’Altare, dove rende a Dio tutti gli omaggi e i doveri della religione nel suo interiore, come la Chiesa glieli rende esteriormente sulla terra e glieli renderà egualmente nel Cielo. Ma poi che Nostro Signore, ascendendo al cielo e lasciando la terra, ha cessato di onorare esteriormente il suo divin Padre a nome di tutti gli uomini come visibilmente faceva sulla terra, così ha voluto lasciare dei successori della sua religione che continuassero a compiere gli stessi doveri verso Dio, Padre suo (16). E siccome questa religione è in lui per mezzo dello Spirito Santo, la cui virtù gli fa adorare Dio quanto lo può essere, egli ha voluto, dopo l’ascensione al cielo, mandare questo stesso Spirito ai suoi Apostoli ed ai suoi discepoli affinché continuasse a diffondere nei cuori come aveva fatto nel suo (17), una religione perfetta, santa, interiore, comprendente in sé i doveri e gli omaggi di tutto il mondo insieme.
Così, gli Apostoli e i Preti sono i successori di Gesù Cristo nella sua religione e non sono stabiliti se non per onorare Dio in nome di tutto il mondo (18).
Per questo, la veste talare è così ampia, a rappresentare quasi la sfericità e la distesa della terra: ciò che si raffigurava anticamente nella veste del sommo sacerdote che era pure amplissima per prefigurare l’immensità della religione di Gesù Cristo (19). Il pontefice nella antica legge, portava su di sé i nomi delle dodici tribù (20) per prefigurare l’eccellenza della religione del Figlio di Dio e la grandezza del suo amore verso il Padre che sorpassò quello di tutti gli uomini insieme; ed ancora per significare che i preti devono portare l’amore di tutti gli uomini nei loro cuori (21); che essi devono contenere nel cuore tutti gli omaggi, tutte le lodi di ogni fedele, e possedere nelle loro anime più religione verso Dio che tutte le creature insieme riunite. La santa veste talare è inoltre come un sudario che ci tiene sepolti e che esprime al vescovo lo stato di morte nel quale si trova il santo chierico che a lui si presenta. Dico sempre è dovunque santo, perché, come la Chiesa è un nuovo mondo e un mondo di santità, fatto soltanto per rappresentarci Dio e Gesù Cristo nelle loro eminenti perfezioni, nulla deve trovarsi in essa che non sia santo.
La santa veste talare significa dunque che il chierico è morto al secolo (22): come egli stesso protesta, quando dice di non voler più che Dio; Dominus pars hereditatis meae. Ed anche se non lo dicesse, parlerebbe del suo obbligo l’abito che indossa che, semplice e nero come è, esprime a chiunque che il chierico che lo porta è morto alla pompa ed al fasto del secolo (22) e che deve esserne separato nel cuore come lo è nell’abito (23).
L’abito talare ricopre tutto il corpo, a testimoniare che tutta la carne è morta e che il chierico che lo porta, reca in sé la morte di Cristo in tutte le sue membra. Necessità quindi che colui che è innalzato al santo stato ecclesiastico, faccia apparire, nella persona, la morte di Nostro Signore e le sue vittorie, e tutte le sue azioni lo proclamino e lo annuncino dappertutto (24). Dice San Paolo che tutti i cristiani devono essere circondati per tutto il loro coro po della morte di Gesù Cristo: Semper mortifìcationem Jesu in corpore nostro circumferentes (25). Questo è raffigurato dall’abito talare che, ricoprendo il chierico e circondandone il corpo, non lascia scorgere nulla di lui se non sotto un abito di morte (26).

Siccome essi sono interamente appartenenti a Gesù e si sono dati a Lui senza riserva nello stato clericale, non devono soltanto essere mortificati nella carne, nelle sue sregolatezze e nei suoi desideri, secondo la parola dell’Apostolo: Qui sunt Christi, carnem suam crucifìxerunt cum vitiis et concupiscentiis (27); ma ancora devono essere morti e sepolti con Gesù Cristo, per partecipare poi alla sua nuova vita. Anche questo esprime la veste talare. E come la crocifissione, la morte e la sepoltura precedono la risurrezione interiore, il vescovo vuol vedere un figliolo vestito della veste talare come di un lenzuolo funebre che ne ricopra tutto il corpo, che lo tenga seppellito, prima di dargli la cotta (28).

Il chierico, rivestito dalla veste talare nera, esprime la disposizione del suo spirito e il desiderio di vivere umiliato tutta la vita (29) e morto a tutto se stesso, dai piedi alla testa; non avendo più nulla in lui, né volontà, né giudizio, né passioni, come se la vecchia creatura d’Adamo morta in lui non gli lasciasse più alcun desiderio.
Un chierico deve così camminare nel mondo, portando la croce di Gesù Cristo esposta su se stesso: Crucifìgentes veterem hominem in semetipsis; di modo che nulla di carnale appaia vivente in lui. Ecco perché la veste talare è interamente chiusa e copre tutto il nostro corpo (30). È però vero che la testa non è nascosta sotto questo santo abito, come il resto del corpo; e ciò a significare che solo Gesù Cristo (31) deve apparire in noi: Viri caput Christus (32). Lo si deve vedere sulla nostra bocca: Si quis loquitur, quasi sermones Dei (33); colui che parla, dice San Pietro, deve parlare il linguaggio di Dio. Bisogna scorgere che Dio muove la sua lingua ed anima la sua parola (34). Il viso pure è scoperto, per testimoniare che il chierico deve essere, nei suoi costumi e nella sua condotta, una immagine della Divinità.
E se le mani appaiono, è perché il chierico deve far conoscere nelle sue azioni rappresentate dalle mani, che Dio opera in lui: Si quis ministrat, tamquam ex virtute quam administrat Deus(35).
Se il chierico opera, sia per potenza di Dio; sia Dio che lo muove e che gli comunica l’efficacia della sua azione; di modo che si vedano, nel suo corpo morto, le opere della vita dello spirito espresse dalle sue mani (36). II volto ben composto e la condotta di vita ben regolata, sono gli indizi ai quali riconosciamo che Dio abita nella mente e nell’anima del chierico. Modestia vestra nota sit omnibus hominibus: Dominus enim prope est. Che la vostra modestia, dice S. Paolo (37), sia conosciuta da tutti, per rispetto a Dio che vi sta vicino, e per causa dell’unione a Cristo che, risiedendo in voi, fa riflettere la sua modestia nel vostro aspetto esteriore (38).
Questo grande Dio, che ordina ogni cosa con tanta saggezza e che muove la creatura con tanto criterio, si rivela presente in un’anima per mezzo del contegno de} corpo (39). Se si riconosce la presenza di Dio nell’armonia del firmamento e nel moto dei corpi celesti, più facilmente si potrà discernere la presenza della sua maestà in un’anima che Egli guida, nel moto che Egli vi imprime (40).
Nulla resta dunque di scoperto in colui che è rivestito dell’abito talare all’infuori del viso e delle mani: questo significa che non deve più apparire in un chierico e in un prete che la vita divina, la vita di Gesù Cristo, che si rivela per mezzo delle parole e delle opere buone (41). Tutto il resto deve essere morto in lui; tutto deve essere sepolto come in una tomba (42). La vita di Dio solo, la vita della fede e della saggezza divina devono unicamente rifulgere in lui (43). E siccome la fede opera per mezzo della carità (44), le mani sono scoperte come il viso, a indicare la carità di Dio che opera in noi, e questa vita di fede che si manifesta nelle nostre azioni (45).
Quanto ai piedi, sono nascosti dalla veste talare: ciò significa la morte ai desideri ed alle affezioni terrene. I piedi, camminando, esprimono da quali sentimenti siano mossi, portandoci verso i luoghi e gli oggetti che ci piacciono (46); e siccome appunto queste affezioni e questi desideri mondani sono quelli che costituiscono la parte principale della nostra vita animale, devono essere mortificati e soffocati nei chierici, poiché essi non devono avere più che Gesù Cristo vivente nei loro spiriti, per trattenervi e comprimervi e seppellirvi la vecchia creatura (47). Tutto ciò che vi è in essi deve servire alla edificazione delle genti, e tutto, anche esteriormente, deve parlare dei misteri della nostra santa religione. La veste talare appunto annuncia al mondo il mistero della morte e sepoltura del vecchio uomo (48).
Questo abito nero dice eminentemente: – Morite a tutte le vanità del secolo (49), morite alle sue massime, al peccato, al demonio ed alla carne; morite, infine, a tutto ciò che non è Dio.
Per mezzo di questo abito che è ben differente da quello del mondo (50) il chierico rivela di aver deposti gli usi mondani, di non voler aver più rapporti col secolo, e di professare pubblicamente la sua opposizione ad ogni pompa o vanità. La semplicità, la modestia, il colore di questa santa veste proclamano tali sentimenti.
II chierico porta pure impresso sul viso. e in tutto il suo contegno il grado di mortificazione propria a cui è giunto (51).
Il suo volto è scoperto unicamente perché è l’immagine di Dio per il quale egli vive; ma siccome Dio, che è infinitamente superiore al mondo, vive in lui di una vita infinitamente sublime e al di sopra della terra, così il chierico deve avere scolpita sul viso un’espressione di grande elevazione al di sopra di tutte le creature, mostrando così quanto il mondo e tutto ciò che contiene siano sprezzabili ai suoi occhi (52).
L’ecclesiastico deve essere come cieco, in rapporto al mondo; non deve considerarne più né le bellezze né le rarità; deve essere come sordo alle sue notizie, calpestare tutte le sue pompe, condannare i suoi artifici; deve avere il cuore ben chiuso alle sue massime ed ai suoi sentimenti: in una parola, deve essere insensibile a tutto ciò che esso propone, poi che egli è ormai interiormente rivestito dell’uomo nuovo, questo uomo tutto di cielo, che più non vive sulla terra dove non trova più nulla degno di lui (53). Egli pregusta in tal modo le delizie di un altro mondo, dove Dio solo formerà la gioia, dove non apparirà più traccia di questo mondo volgare (54). Egli appartiene già a quell’altra generazione, a quell’altro mondo, più bello, più puro, mille volle più santo del presente. Egli non è più, come era nell’ordine naturale, il centro a cui converge tutta la volta del mondo, ma è il punto al quale converge tutta la Chiesa del Cielo che sopra lui riposa, che lo guarda e per il quale è stato formato tutto questo mondo superiore (55).
Bisogna dunque che noi ci consideriamo come persone fuori del mondo, viventi nel cielo (56), che conversano coi santi, che vivono nell’oblio, nell’avversione in un sovrano disdegno di tutto il mondo (57).
Bisogna che dimostriamo bene, a tutti, con la nostra condotta, vivendo e muovendoci nel mondo come Dio stesso (58), che c’è una vita molto migliore che ci aspetta nel cielo (59) dove già ci troviamo per la fede e dove già felicemente conversiamo con i santi.

 

NOTE

 
(1) Habitus religiosus Sidon., lib. 4, ep. 24. Conc. Meld. anno 845, c. 37.
(2) Quaeratur ex singulis an ritus et caeremonias, quae cum initiantur adhiberi solita sunt, noverint? an sanctiores illarum notiones? an sacrarum vestium, quibus induuntur, mysteria et significata? lnst. ad Ord. Eccl. suscip. in Eccl. Mediol. – Quaeratur quid per tonsuram significetur, quae fit in superiori capitis parte; quid per superpelliceum, quo c1erici induuntur, declaretur? Ibid. – Vestes ministrorum designant idoneitatem quae in eis requiritur ad tractandum divina. D. Thom. , Suppl, q. 40, a. 7, in corp.
(3) Etsi habitus non faciat monachum, in clerico tamen magnum indicium est, ut ait Salomon, eius quod in corde latet. Synodus Atheniens. ann 1571.
(4) Quaecumque in ecclesiasticis officiis rebus ac ornamentis consistunt, divinis plena sunt signis atque mysteriis. Dnrand. Divin. Offic. praem.
(5) Sicut accidentia multum conferunt ad cognoscendam rei ipsius quidditatem: ita habitus exterior plurimum confert ad declarandum ·morum honestatem. Synod. Venusin., anno 1589. – Haec (ornamenta) sunt virtutum insignia, quibus tanquam scripturis docentur utentes quales esse debeant. Hugo a S. Victor., Specul. Eccl., c. 6. .
(6) Considerare debet per symbola quam accipit gratiam. Sim. Thessalon., de Sacro Ordin., cap. 5.
(7) Conc. Basileens. Lateran. 5 sub Leone X, anno 1511, sess. 9: et alia passim.
(8) Nigra vestls insinuat humilitatem mentis; vile vestimentum denuntiat mundi contemptum, De modo bene vivendi, cap. 9: Op. S. Bernard., tom. 2. Omnia tanquam cinerem despielens, quasi mortuus prorsus ad mortuum immobilis permanebat. S. Chrysost., hom. 1, de laud. Pauli.
(9) Priorls vestis detractio, et alterius assumptio, slgnificat a media sancta vita ad perfeetiorem traduetionem. S. Dionys. , de Eccles. Hier., cap. 6. –Moneo te ut habitum, quem ostendis specie, impleas opere… Sanctus est habitus, sanctus sit animus. Sicut sancta sunt vestimenta, sic opera sancta sint. De modo bene vivendi, cap. 9: Op. S. Bernard., tom. 2.
(10) Caveant tam saeerdotes quam clerici, ne superpelliceo exuti clericalibus fungantur officiis. Synod. Capad. aquens, an., 1617, tit de Min. Eccl. c. 19.
(11) Ne cum superpelliceo per civitatem deambulantes vagentur. Synod. Vicens., anno 1628: tit. 13, de Vita et hon. Cleric., c. 3.
(12) Moriendum est mundo ut Deo in sempiternum vivamus. S. Aug, serm. 170, n. 9.
(13) Vestimentum amplum et longum, propter pietatem et divinam caritatem. Sim Thessalon., de Ord.
(14) Sese Deo ac Patri subjecit… et obedientiae suae odorem tanquam pro omnibus simul et singulis Deo et Patri obtulit. S. Cyril Alex., lib. 11, de Ador. in Spirit. et verit.
(15) Introivit in ipsum caelum, ut appareat nunc vultui Dei pro nobis, Hebr., 9, 24.
(16) Successori nel culto esterno e visibile, come si è detto più sopra: Sacerdotes Christi vicarios esse Christi et Christum. S. Chrysost., hom. 17, op. imp. in Matth., Suum relicturus erat eis ministerium. Id. in Joan., 20, hom. 86, al. 85 n. 2.
(17) Sicut misit me Pater, et ego mitto vos: Haec cum dixisset, insufflavit, et dixit eis: Accipite Spiritum sanctum. Joan., 22 et 23. Hac vocula sicut illos quodammodo slbi aequat, et pares efficit, scilicet proportionaliter ut suos successores et vicarios. Corn. a Lap. hic. – Sicut significat etiam similitudinem in fine: utrique enim missi sunt ad eundem finem. Id., ex S. Cyrill., lib. 12 in Joan., in ead. verb.
(18) Sacerdotes procuratores sunt apud Deum pro ejus Ecclesia. Guillel. Paris., de Sacro Ord. – Pro universo terrarum orbe deprecator est apud Deum. S. Chrysost., de Sacerd. t. 6, c. 4. – Non jura sua sed aliena allegat. Guillel. Paris., ibid.
(19) Amictus pontificis totius mundi quaedam imago fuit. Philo., de Vita Mosis., lb. 3.
(20) Portabit Aaron nomina filiorum Israel coram Domino super utrumque humerum. Exod. 28, 12. Portabit nomina filiorum Israel in rationali judictl super pectus suum quando ingredietur sanctuarium. Ibid., 29 .
(21) Est Aaron Christi figura, et Illius sacerdotii quod in spiritu et veritate intelllgitur. S. Cyr. Alex., lib. 11, de Ador. in spir. et verit.
(22) Clericatum elegistis, id est, mundo renuntiare, et cum habitu humilitatis, affectum promittere humilitatis, Ivo Carnot., serm. 2. De excell. sacro Ord. Pontif. Bibliot. Apost. exhort. ad Tonsur.
(23) Paupertatem et humlitatem profertis habitu corporis. Ibid.
(24) Sacerdotes constituti sunt per mundum, Christi narrare victorias. Petr. Dom. opusc. 18, contra Cleric. intemp. dissert. 1, c. 1.
(25) II Cor., 4, 10.
(26) Homines sacros tum interius tum exterus oportet mortificationem Jsu circumferre in suo corpore. S. Cyril. Alex., de Adorat. in spir. et verit., lib. 11. – Vestimentum talare, tam retro quam a lateribus et ante undique clausum. Conc. Basil.
(27) Gal. 5, 24.
(28) Qui sunt Christi, carnem suam crucifixerunt, id est Christo crucifixo se conformaverunt, affligendo carnem suam cum vitiis…, id est, cum peccatis; concupiscentiis, id est, passionibus quibus anima inclinatur ad peccandum. Non enim bene crucifigit carnem, qui passionibus locum non aufert, D. Thom,. in ead. verb. Ep. ad Gal., 5, 24, lect. 7.
(29) Electo, ad intimam cordis humilita!em desiderandam, humiliore cunctis coloribus nigro colore. Petr. Cluniac., statut. 16.
(30) Quia sacerdos dux et antesignanus est exercitus Domini, his titulorum insignibus jubetur adornatus incedere, seseque sequentibus ecclesiasticae militiae cuneis sanguinis et crucis Christi debet vexilla praeferre. Petr. Dam . op. 25, de Dignit. sacerdot., c. 2.
(31) Capile nudato testatur Christum sibi caput esse. Simon. Thessalon. , de Ord. Episc.
(32) I Cor., 11, 3.
(33) I Petr., 4, 11.
(34) Non enim vos estis qui loquimini, sed Spiritus Patris vestri qui loquitur in vobis. Matth., 10, 20. Vox nostra Christus est. S. Ambr., de Isaac., c. 8, n. 75.
(35) I Petr., 4, 11.
(36) Exstantes et visae manus virtutem et efficientiam Dei, in his quae operatur sacerdos, declarant.
Sim. Thessalon., de Sacro Ord.
(37) Philip., 4, 5.
(38) Ex vlsu cognoscitur vir, et ab occursu faciei cognoscitur sensatus. Eccl., 19, 26. – Nec oculus sine Dei nutu moventur. S. Basil. in Ps. 32, n. 6. –Conversemur quasi Del templa, ut Deum in nobis constet habitare. S. Cypr., de Orat. Dom., p. 207. Modestia portio Dei est. S.Ambr., de Offic., lib. 1, c. 18, n. 70. – Ubi Christus est, modestia quoque est. S. Greg. Naz., ep.193.
(39) Amictus corporis…, et ingressus hominis enuntiant de illo. Eccl., 19, 27.
(40) Caelum, eunctaque caelestia… consono ordinationis concentu, protestantur gloriam Dei, et praedicatione perpetua majestatem sui loquuntur auctoris. De Vocat. Gen., lib. 2, c. 4, inter op. S. Leon.
(41) Accipe hoc sacrum indumentum, quo cognoscaris mundum contempsisse, et te Christo perpetuo subdidisse, Frederìc. Archiep., Institut. ad Ord.. suscip. in EccI. Mediol. tit. 1. Forma esse debemus caeteris, non solum in opere scd etiam in sermone. S. Ambr., de Offic., lib. 2, cap.19, n. 96.
(42) Nos oportet non solum carnalibus vitiis, verum etiam ipsis elementis mortuos esse.Cassian.. Inst., lib. 4, cap. 35.
(43) Quod nunc vivo in carne, in fide vivo Filii Dei. Gal., 2, 20.
(44) Fides quae per caritatem operatur. Gal., 5, 6.
(45) Vita justitiae est per Deum habitantem in nobis bis per fidem… Et intelligendum est de fide per dilectionem operante. D. Thom. in cap. 3 Ep. ad Gal., lect. 4.
(46) Humani affectus quasi pedes sunt. S. Aug. tract. 56 in Joan, n. 44. Pedes nostri affectus nostri sunt. Prout quisque affectum et amorem habuerit, ita accedit vel recedit a Deo. Id. in Ps.94, n. 2.
(47) Signum crucis (impressum in ordinatione) designat omnium simul cupiditatum cessationem, divinaeque vitae imitationem. S. Dionys., de EccI. Hier., cap. 5. Contempl. § 4.
(48) In eos tanquam in speculum reliqui oculos conjiciunt; ex iisque sumunt quod imitentur. Quaporpter sic decet omnino clericos…, vitam moresque suos omnes componere, ut habitu, gestu, incessu, sermone, aliisque omnibus rebus, nil nisi grave, moderatum, ac religione plenum prae se ferant. Conc. Trid., sess. 32, cap . 1 de Reform.
(49) Nolite conformari huic saeculo. Rom., 12, 2.
(50) Vestis nigra humilitatis et religiosae vitae symbolum est. Sim. Thessalon., lib. de sacris Ordin., cap. 2, de Ritu ordinat. Lector.
(51) Mortuum nobis hunc mundum deputantes, nos quoqne ipsi huic mundo moriamur, et dicamus quod Apostolus ait: Mihi mundus crucifixus est, et ego mundo. S. Aug., de Trinit., lib.2, cap. 17, n. 28.
(52) Eo usque mente secedat et avolet, ut et hunc communem transcendat usum et consuetudinem cogitandi. S. Bernard. in Cant., serm. 52, n. 4.
(53) Quaemadmodum qui inflammattus est ac febri laborat, quemcumnque ei offeras cibum aut potum quamvis suavissmum abominatur ac renuit; sic qui Spiritus Sancti atque Christi caelesti desiderio sunt accensi, et amore dilectionis Dei in anima sauciati, omnia quae sunt in hoc saeculo praeclara et pretiosa repudianda et odio digna reputant. S. Macar., hom. 9. –Quid agis in saeculo, qui major es mundo? S. Hieron., ep. 3, ad Heliod.
(54) Deus ipsi sibi et mundus, et locus, et omnia. Tertull., lib. contra Prax., c. 5. Nihil nobis sit commune cum saeculo. S. Chrysost., hom. 5, in Epist. ad Tit. , cap. 2, n. 1.
(55) Respice universum mundum istum, et considera si in eo aliquid sit quod tibi non serviat. Omnis creatura ad hunc finem cursum suum dirigit, ut obsequiis tuis famuletur, ut utilitati deserviat. Hoc caelum, hoc terra, hoc aër, hoc maria. Append. S. Aug. tom. 6, de Dilig. Deo, c. 4.
(56) De mundo non estis, sed ego elegi vos de mundo. Joan. 15, 19. –Nostra conversatio in caelis est. Philip. 3, 20.
(57) Non solurn non se immisceat circa saeculari negotia, sed nec cogitet de mundo. S. Crysost. hom. 15, op. imp. in Matth.
(58) In hoc positi sunt, ut Deum repraesentent. D. Thom., Suppl. q. 34, a. 1.
(59) Cognoscentes vos habere meliorem el manentem substantiam. Hebr., 10, 34.

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