Roma, la S. Messa a Gesù e Maria è salva! Deo gratias

Apprendiamo con viva soddisfazione che la S. Messa nelle forma extra-ordinaria del Rito Romano che da oltre trent’anni viene celebrata nella Chiesa di Gesù e Maria in via del Corso, dopo le recenti difficoltà, è salva. Anche il nostro gruppo nel recente pellegrinaggio a Roma ha potuto assistere alla celebrazione, così bella e così partecipata. Deo gratias!

27 Novembre – Festa della Madonna del miracolo
O Maria, Vergine potente,
Tu grande illustre presidio della Chiesa;
Tu aiuto meraviglioso dei Cristiani; 
Tu terribile come esercito schierato a battaglia;
Tu sola hai distrutto ogni eresia in tutto il mondo;
Tu nelle angustie, nelle lotte, nelle strettezze 

difendici dal nemico e nell’ora della morte 
accogli l’anima nostra in Paradiso! 
Amen

Possiamo sciogliere tutte le riserve. La Santa Messa a Gesù e Maria è salva. C’è solo un piccolo cambiamento d’orario: alle 9,30 anziché alle 10. Una grande gioia per i numerosi fedeli in trepidante attesa; ma, soprattutto, un grande tesoro salvato per il bene delle anime e la maggior gloria del Signore.
dal sito chiesaepostconcilio.blogspot.it

L’Abbè Barthe dopo il pellegrinaggio a Roma

Al termine di questa messa trionfale, abbiamo posto qualche domanda a don Claude Barthe, cappellano e, si può dire, principale artefice – certamente insieme a molti altri, come egli stesso tiene a sottolineare – di questo ritorno visibile della liturgia tradizionale al cuore e nel coro di San Pietro.

Don Barthe, alla messa c’erano da due a tremila persone, un bel successo!

– Sì, ma con un rimpianto: moltissime persone volevano assistere e sono state fermate dalle barriere che impedivano ai turisti di accedere all’altare della Cattedra in San Pietro. È un vero peccato: queste persone sono rimaste sempre dietro le barriere. Si può veramente dire che c’era una folla immensa. E molti sacerdoti, evidentemente.

– Era la prima volta che si celebrava la liturgia tradizionale in San Pietro, dopo le innovazioni che hanno fatto seguito al Concilio Vaticano II?

– No, la prima volta è stata nella cappella del Ss.mo Sacramento; una seconda volta, l’anno scorso in maggio, il card, Brandmueller l’ha celebrata all’altare della Cattedra a conclusione del terzo convegno Summorum Pontificum. Questa volta, era il Prefetto del Culto Divino a celebrare. È molto importante, poiché si tratta del ministro della liturgia del Papa, ed è molto importante che, come avete visto, fosse presente in coro mons. Di Noia, vice-presidente della Commissione Ecclesia Dei, circondato da tutta la commissione.

– È, finalmente, un ritorno trionfale della messa tradizionale. Oggi, col senno di poi, possiamo dire che particolarmente la Francia è stata fautrice della conservazione di questa liturgia che alcuni credevano condannata all’estinzione?

– Sì, credo che lo sia stata. Ne siete particolarmente consapevoli voi di Présent, che è l’organo di Jean Madiran. Se c’è chi ha fatto qualcosa affinché questa messa fosse conservata nonostante l’apparente proibizione, sono stati senz’altro la Francia e i francesi come lui.

– Più dell’Italia?

– Certamente più dell’Italia. Che adesso, però, la segue. Ed altri ancora, come si è potuto constatare proprio in occasione di questa celebrazione. L’America era presente, molto numerosa, c’erano molti anglosassoni, specialmente durante la cerimonia, tra i seminaristi. Gli italiani erano molto numerosi, con molti giovani, e questa è una novità.

– È l’effetto “Motu Proprio”?

– Incontestabilmente. E, oggi, è un messaggio di speranza. Ciò che il cardinal Canizares ha detto ad Andrea Tornielli: È normale che io celebri questa messa, si può dire che sia una tappa. Si passa dalla “messa straordinaria” a una messa normale. Ma c’e ancora molta strada da fare, certamente!

– Ho visto, alla messa, tanti seminaristi molto giovani.

– Si, e anche tra il popolo, quelli che non hanno osato venire in coro: hanno assistito alla messa, provenendo dalle università romane o dai seminari italiani. Non vengono specificamente formati per la messa “straordinaria”, ma vi trovano un grande conforto spirituale, un senso del sacro, una teologia del sacrificio che non trovano altrove.

– Si conoscono le difficoltà che vi sono tuttora con la Fraternità San Pio X, che sostiene che se la messa è tornata, il concilio è rimasto. Ma sappiamo anche che Lex orandi, lex credendi. Come conciliare tutto ciò?

– Avete sentito la conclusione dell’omelia del cardinale. Ha utilizzato un argomento che gli è caro: anche il rito tradizionale è illuminato dal Concilio, dalla Sacrosanctum Concilium. Dunque, come dite, Lex orandi, lex credendi. Si è creduto a lungo che l’espressione del concilio – ed era vero! – fosse la nuova messa. Ma oggi si può dire che la messa tradizionale è anch’essa un modo di leggere il Concilio. E, direbbe Jean Madiran, di “filtrarlo”.

– Il fatto che il messaggio del Papa fosse firmato dal Card. Bertone gli attribuisce un peso particolare?

– È stato fatto quanto di meglio fosse possibile per messaggi di questo tipo: firma il cardinale e non un sostituto. E avrete notato che il messaggio era in francese. Il testo originale era in francese, e anche questo è un segno.

– Le sfumature che si notano con riferimento alla messa ordinaria vanno attribuite al Papa o al Cardinal Bertone?

– È impossibile dirlo.

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Intervista raccolta da Jeanne Smits e Olivier Figueras

Fonte: Présent, n° 7726 di Sabato 10 novembre 2012

Motu Proprio “LATINA LINGUA”

 

BENEDICTUS PP. XVI
LITTERAE APOSTOLICAE
MOTU PROPRIO DATAE
LATINA LINGUA
De Pontificia Academia Latinitatis condenda
1. La lingua latina è sempre stata tenuta in altissima considerazione dalla Chiesa Cattolica e dai Romani Pontefici, i quali ne hanno assiduamente promosso la conoscenza e la diffusione, avendone fatto la propria lingua, capace di trasmettere universalmente il messaggio del Vangelo, come già autorevolmente affermato dalla Costituzione Apostolica Veterum sapientia del Nostro Predecessore, il Beato Giovanni XXIII.
In realtà, sin dalla Pentecoste la Chiesa ha parlato e ha pregato in tutte le lingue degli uomini. Tuttavia, le Comunità cristiane dei primi secoli usarono ampiamente il greco ed il latino, lingue di comunicazione universale del mondo in cui vivevano, grazie alle quali la novità della Parola di Cristo incontrava l’eredità della cultura ellenistico-romana.
Dopo la scomparsa dell’Impero romano d’Occidente, la Chiesa di Roma non solo continuò ad avvalersi della lingua latina, ma se ne fece in certo modo custode e promotrice, sia in ambito teologico e liturgico, sia in quello della formazione e della trasmissione del sapere.
2. Anche ai nostri tempi, la conoscenza della lingua e della cultura latina risulta quanto mai necessaria per lo studio delle fonti a cui attingono, tra le altre, numerose discipline ecclesiastiche quali, ad esempio, la Teologia, la Liturgia, la Patristica ed il Diritto Canonico, come insegna il Concilio Ecumenico Vaticano II (cfr Decr. Optatam totius, 13).
Inoltre, in tale lingua sono redatti, nella loro forma tipica, proprio per evidenziare l’indole universale della Chiesa, i libri liturgici del Rito romano, i più importanti Documenti del Magistero pontificio e gli Atti ufficiali più solenni dei Romani Pontefici.
3. Nella cultura contemporanea si nota tuttavia, nel contesto di un generalizzato affievolimento degli studi umanistici, il pericolo di una conoscenza sempre più superficiale della lingua latina, riscontrabile anche nell’ambito degli studi filosofici e teologici dei futuri sacerdoti. D’altro canto, proprio nel nostro mondo, nel quale tanta parte hanno la scienza e la tecnologia, si riscontra un rinnovato interesse per la cultura e la lingua latina, non solo in quei Continenti che hanno le proprie radici culturali nell’eredità greco-romana. Tale attenzione appare tanto più significativa in quanto non coinvolge solo ambienti accademici ed istituzionali, ma riguarda anche giovani e studiosi provenienti da Nazioni e tradizioni assai diverse.
4. Appare perciò urgente sostenere l’impegno per una maggiore conoscenza e un più competente uso della lingua latina, tanto nell’ambito ecclesiale, quanto nel più vasto mondo della cultura. Per dare rilievo e risonanza a tale sforzo, risultano quanto mai opportune l’adozione di metodi didattici adeguati alle nuove condizioni e la promozione di una rete di rapporti fra Istituzioni accademiche e fra studiosi, al fine di valorizzare il ricco e multiforme patrimonio della civiltà latina.
Per contribuire a raggiungere tali scopi, seguendo le orme dei Nostri venerati Predecessori, con il presente Motu Proprio oggi istituiamo la Pontificia Accademia di Latinità, dipendente dal Pontificio Consiglio della Cultura. Essa é retta da un Presidente, coadiuvato da un Segretario, da Noi nominati, e da un Consiglio Accademico.
La Fondazione Latinitas[qui in italiano, n,d,r] costituita dal Papa Paolo VI, con il Chirografo Romani Sermonis, del 30 giugno 1976, è estinta.
La presente Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, con la quale approviamo ad experimentum, per un quinquennio, l’unito Statuto, ordiniamo che sia pubblicata su L’Osservatore Romano.Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die X mensis Novembris, in memoria Sancti Leonis Magni Papae, anno MMXII, Pontificatus Nostri octavo.

BENEDICTUS PP XVI

Statuto della Pontificia Accademia di Latinità
Articolo 1

E’ istituita la Pontificia Accademia di Latinità, con sede nello Stato della Città del Vaticano, per la promozione e la valorizzazione della lingua e della cultura latina. L’Accademia è collegata con il Pontificio Consiglio della Cultura, dal quale dipende.

Articolo 2

§ 1. Scopi dell’Accademia sono:

a) favorire la conoscenza e lo studio della lingua e della letteratura latina, sia classica sia patristica, medievale ed umanistica, in particolare presso le Istituzioni formative cattoliche, nelle quali sia i seminaristi che i sacerdoti sono formati ed istruiti;
b) promuovere nei diversi ambiti l’uso del latino, sia come lingua scritta, sia parlata.
§ 2. Per raggiungere detti fini l’Accademia si propone di:
a) curare pubblicazioni, incontri, convegni di studio e rappresentazioni artistiche;
b) dare vita e sostenere corsi, seminari ed altre iniziative formative anche in collegamento con il Pontificio Istituto Superiore di Latinità;
c) educare le giovani generazioni alla conoscenza del latino, anche mediante i moderni mezzi di comunicazione;
d) organizzare attività espositive, mostre e concorsi;
e) sviluppare altre attività ed iniziative necessarie al raggiungimento dei fini istituzionali.
Articolo 3
La Pontificia Accademia di Latinità si compone del Presidente, del Segretario, del Consiglio Accademico e dei Membri, detti anche Accademici.
Articolo 4
§ 1. Il Presidente dell’Accademia è nominato dal Sommo Pontefice, per un quinquennio. Il Presidente può essere rinnovato per un secondo quinquennio.
§ 2. Spetta al Presidente:
a) rappresentare legalmente l’Accademia, anche di fronte a qualsiasi autorità giudiziaria ed amministrativa, tanto canonica quanto civile;
b) convocare e presiedere il Consiglio Accademico e l’Assemblea dei Membri;
c) partecipare, in qualità di Membro, alle riunioni del Consiglio di Coordinamento delle Accademie pontificie e mantenere i rapporti con il Pontificio Consiglio della Cultura;
d) sovrintendere all’attività dell’Accademia;
e) provvedere in materia di ordinaria amministrazione, con la collaborazione del Segretario, e in materia di straordinaria amministrazione, in accordo con il Consiglio Accademico e con il Pontificio Consiglio della Cultura.
Articolo 5
§ 1. Il Segretario è nominato dal Sommo Pontefice, per un quinquennio. Può essere rinnovato per un secondo quinquennio.
§ 2. Il Presidente, in caso di assenza o impedimento, delega il Segretario a sostituirlo.
Articolo 6
§ 1. Il Consiglio Accademico è composto dal Presidente, dal Segretario e da cinque Consiglieri. I Consiglieri sono eletti dall’Assemblea degli Accademici, per un quinquennio, e possono essere rinnovati.
§ 2. Il Consiglio Accademico, che è presieduto dal Presidente dell’Accademia, delibera circa le questioni di maggiore importanza che riguardano l’Accademia. Esso approva l’ordine del giorno in vista dell’Assemblea dei Membri, da tenersi almeno una volta l’anno. Il Consiglio è convocato dal Presidente almeno una volta l’anno e, inoltre, ogni volta che lo richiedano almeno tre Consiglieri.
Articolo 7
Il Presidente, con il parere favorevole del Consiglio, può nominare un Archivista, con funzioni di bibliotecario, ed un Tesoriere.
Articolo 8
§ 1. L’Accademia consta di Membri Ordinari, in numero non superiore a cinquanta, detti Accademici, studiosi e cultori della lingua e della letteratura latina. Essi sono nominati dal Segretario di Stato. Raggiunto l’ottantesimo anno di età, i Membri Ordinari diventano Emeriti.
§ 2. Gli Accademici Ordinari partecipano all’Assemblea dell’Accademia convocata dal Presidente. Gli Accademici Emeriti possono partecipare all’Assemblea, senza diritto di voto.
§ 3. Oltre agli Accademici Ordinari, il Presidente dell’Accademia, sentito il Consiglio, può nominare altri Membri, detti corrispondenti.
Articolo 9
Il patrimonio della estinta Fondazione Latinitas e le sue attività, inclusa la redazione e pubblicazione della Rivista Latinitas, sono trasferite alla Pontificia Accademia di Latinità.
Articolo 10
Per quanto non previsto espressamente si fa riferimento alle norme del vigente Codice di Diritto Canonico ed alle leggi dello Stato della Città del Vaticano.

Un pellegrinaggio veramente straordinario

Per illustrare queste meravigliose giornate del Pellegrinaggio UNA CUM PAPA NOSTRO, culminate con la Processione verso San Pietro e con la S. Messa Pontificale, abbiamo deciso di pubblicare un bellissimo commento ricevuto da un anonimo pellegrino.

 

Sono reduce dalla partecipazione al pellegrinaggio “Una cum Papa nostro”, e non riesco ad astenermi dal formulare qualche considerazione a caldo, nella speranza che un così importante avvenimento prolunghi nel tempo i suoi frutti.

Nato dal desiderio di dare visibile sostegno ai sempre più numerosi e sempre più autorevoli pastori che, anche ai vertici della Chiesa, sostengono e promuovono la diffusione della liturgia tradizionale, le circostanze – apparentemente avverse; in realtà, io credo, del tutto provvidenziali – hanno trasformato il pellegrinaggio nella manifestazione spontanea e, vorrei dire, indifesa della fede, della lealtà, dell’entusiasmo, della tenacia e della speranza di tutti quei fedeli che, provenendo da origini spesso molto diverse tra loro, vedono nella Messa di sempre (è giusto chiamarla così, ad onta di tutte le precisazioni ed i distinguo storici e filologici, perché è la Messa che ci congiunge senza soluzione di continuità alle origini della Chiesa e della sua liturgia) la fonte perfetta della loro santificazione, l’espressione intatta della fede della Chiesa, la manifestazione completa della loro adesione alla Sacrificio Eucaristico e la realizzazione vera di quella actuosa participatio che troppo spesso ci si affanna a cercare dove non è, confidando solo nelle povere risorse dell’umana fantasia. Per questo è stato il pellegrinaggio del popolo – o, se preferite, della famiglia – del Summorum Pontificum: il pellegrinaggio in cui potevano porsi fraternamente l’uno accanto all’altro – e, grazie a Dio, è stato largamente così – sia quanti hanno trovato nel Motu Proprio il coronamento di un combattimento spesso pluridecennale, sia coloro che hanno scoperto solo da cinque anni una ricchezza della quale, senza il Summorum Pontificum, probabilmente non sarebbero mai venuti a conoscenza.

Pur avendo davanti agli occhi la realtà concreta dei fedeli, provenienti davvero da tutto il mondo, che si sono radunati a Roma, dobbiamo sempre ricordare che il pellegrinaggio non voleva rispondere alla domanda che, pure, talora noi stessi ci facciamo e molti altri, dall’esterno, ci fanno: siamo un movimento, un popolo, una famiglia?… questa domanda merita, però, un po’ di attenzione – anche se fosse solo per dire che è mal posta – perché ciascuno di noi deve sentire la responsabilità di svolgere nella Chiesa il ruolo che la Provvidenza, nonostante i nostri tanti demeriti, ci assegna. Non ho certo la pretesa di fornire la risposta, e nemmeno di avviare una riflessione – men che meno una discussione. Dico solo che la giornata conclusiva del pellegrinaggio mi è parsa “figura” di quello che è – o dovrebbe essere – il presente ed il prossimo futuro dei fedeli della Messa di sempre. Abbiamo iniziato in pochi, in San Salvatore in Lauro, in adorazione davanti al Santissimo Sacramento; abbiamo recitato il Rosario e l’Angelus, abbiamo ricevuto la benedizione eucaristica;  dopo tre ore di adorazione, siamo usciti nella città, tra l’iniziale indifferenza degli astanti, apparentemente trascurabili e marginali (come siamo spesso considerati); abbiamo cantato a squarciagola le litanie dei santi, gli inni della tradizione, e, infine, il credo; siamo cresciuti di numero solo camminando per le strade, e in via della Conciliazione eravamo già più del doppio rispetto all’inizio; in piazza San Pietro ci eravamo davvero moltiplicati; poi siamo entrati in Basilica, dalla porta principale, attraversando la navata centrale tra lo stupore dei presenti: tutto questo con un misero altoparlante da processione rionale e con messalini stampati quasi in economia e portati pressoché a spalle da alcuni volonterosi fedeli.

Probabilmente, a molti tutto ciò è parso e continuerà ad apparire una debolezza, un’infelice espressione di ingenuo pressapochismo organizzativo: ma riuscire a raggiungere l’obiettivo – pur nella consapevolezza di quanto avrebbe potuto esser fatto meglio – contando, in buona sostanza, solo sulle forze che sono sorte spontaneamente dai coetus fidelium, ha forse dimostrato quanto i fedeli della Messa di sempre possono effettivamente realizzare, solo che si sforzino di uscire sempre più allo scoperto e non rinuncino ad occupare il posto che spetta loro, ad iniziare dalle parrocchie.

Il tonante Deo gratias dei fedeli che, all’Ite, ha riempito tutta la Basilica di San Pietro (lo si può ascoltare in internet) mi è parso la dimostrazione sonora che i fedeli del Summorum Pontificum hanno preso sul serio il fatto di non essere di troppo nella Chiesa: non riusciamo a vederci come cattolici di serie B, perché – pur gravati dal peso dei nostri peccati – non crediamo di avere una fede di serie B, né di amare una liturgia di serie B. E, non essendo figli di serie B, ci aspettiamo che i nostri pastori non si comportino con noi come padri di serie B.

Non so se sia appropriato dire che il Motu Proprio – del quale con il Pellegrinaggio abbiamo celebrato il quinto anniversario – è l’editto di Costantino della liturgia tradizionale, anche se lo trovo suggestivo; sono convinto, però, che siamo noi a dover credere per primi che, per la Messa di sempre, il tempo delle catacombe è finito, ed avere la forza di abbandonare i timori e le diffidenze che esse inevitabilmente comportano. È con questo spirito che abbiamo partecipato al pellegrinaggio “una cum Papa nostro”: non è uno spirito di rivincita, ma – come usa dire oggi – di servizio, e preghiamo che esso riesca a fortificarci per contrastare il Giuliano l’Apostata nel quale potremmo sempre imbatterci, e a favorire, se Dio vorrà, un futuro editto di Teodosio.

Un pellegrino