“UNA CUM PAPA NOSTRO”: mirabile intervista all’Abbé Barthe, cappellano del Pellegrinaggio

Intervista al padre Claude Barthe, cappellano ufficiale del Pellegrinaggio Tradizionale Internazionale Una Cum Papa Nostro

di ALBERTO CAROSA

Dopo l’annuncio che sarà il cardinale Antonio Cañizares Llovera a celebrare il pontificale in rito straordinario in San Pietro il 3 novembre, a conclusione del pellegrinaggio “Una cum Papa nostro” (1-3 novembre 2012) organizzato dal CISP – Coetus Internationalis Summorum Pontificum, saranno almeno altri due gli alti prelati coinvolti nelle varie celebrazioni collaterali per i pellegrini nelle festa di Ognissanti e nella commemorazione dei defunti. Si tratta del cardinale Walter Brandmüller, che celebrerà un pontificale giovedì 1 novembre alle ore 10:30 nella parrocchia personale per il rito antico della Ss.ma Trinità dei Pellegrini, mentre venerdì 2 novembre, sempre nella stessa chiesa ma alle 18:30, una messa pontificale da requiem sarà celebrata da mons. Giuseppe Sciacca, segretario del Governatorato Vaticano.

Queste celebrazioni sono state raccomandate dall’Abbé Barthe, il cappellano ufficiale del pellegrinaggio, che aveva invitato ogni gruppo partecipante ad organizzare un ritrovo di preghiera o una celebrazione almeno il giorno prima del 3 novembre. Per saperne di più sul significato, portata e implicazioni di questa manifestazione di sostegno al Santo Padre promossa dal CISP, gruppo che riunisce le organizzazioni tradizionaliste cattoliche di diversi paesi, l’Abbé ci ha gentilmente concesso questa intervista esclusiva.

Padre, da più parti ci hanno chiesto notizie su di lei. Ci può fornire per favore un suo breve curriculum vitae, formazione ricevuta, studi compiuti, nascita della sua vocazione sacerdotale ecc.?

Sono nato nel 1947 a Fleurance, nel sud-ovest della Francia. La mia vocazione risale alla mia infanzia cattolica. Ho studiato presso l’istituto cattolico di Tolosa, come seminarista diocesano, ma la rivoluzione post conciliare mi costrinse ad abbandonare il seminario. Intrapresi poi degli studi di storia e di diritto, legandomi alla liturgia tradizionale, tanto da entrare a Ecône dove fui ordinato sacerdote da monsignor Lefebvre nel 1979. In seguito sono stato dalla parte dei tradizionalisti “duri”, poi sempre più romani, e alla fine sono diventato sacerdote diocesano (insegno anche liturgia in un seminario tradizionale). Si può anche dire che sono un “prete pubblicista”, per via dei numerosi (e forse anche troppi) libri e articoli.

Ma come nasce l’idea di questo pellegrinaggio tradizionalista e di scegliere lei come cappellano?

L’idea del pellegrinaggio e di una Messa tradizionale in San Pietro per il “popolo Summorum Pontificum” – sia quello delle diocesi che quello delle comunità, Fraternità San Pio X inclusa – si è sviluppata da circa un anno negli ambienti romani detti della “riforma della riforma”, dove si considera che la forma straordinaria del rito latino costituisce la vera e propria colonna vertebrale per una vera rinascita della liturgia. Si è pensato a me per il ruolo (molto modesto!) di cappellano perché sono considerato un partigiano dell’”unione delle forze vive”: tradizionalisti di tutte le tendenze.

Il 10 settembre lei ha tenuto la conferenza stampa di presentazione del pellegrinaggio: ce ne può riassumere gli aspetti salienti?

In primo luogo ho voluto far presente che sarà un rendimento di grazie. I pellegrini offriranno innanzi tutto una Messa nella forma straordinaria di ringraziamento e di sostegno filiale al Santo Padre in occasione del 5° anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum, che, come è noto, è entrato in vigore il 14 settembre 2007. Per moltissimi sacerdoti, diocesani e religiosi, che ormai celebrano la loro messa quotidiana nella forma straordinaria, è un beneficio spirituale davvero immenso, come pure per i fedeli di quelle parrocchie – sfortunatamente ancora troppo rare – che possono così godere di questa liturgia e della sua mistica. Si può dire che questo atto di Benedetto XVI ha fatto nascere un vero popolo Summorum Pontificum. Questo popolo vuole ringraziarlo di tutto ciò.

E per quanto riguarda altri aspetti?

Devo dire che si tratterà anche di una dimostrazione di fedeltà a Pietro. Il secondo scopo infatti è manifestare in questo modo il nostro amore per la Chiesa e la nostra fedeltà alla Sede di Pietro, particolarmente nell’attuale amara e difficile congiuntura. Siamo ben consapevoli che le fatiche che oggi affronta il Santo Padre sono pesanti. La messa romana tradizionale, in particolare nel Canone, è sempre stata considerata di per se stessa una magnifica professione di fede della Chiesa Mater et Magistra: è questo credo liturgico che vorremmo esprimere sulla Tomba degli Apostoli, presso il Successore di Pietro. Sarà poi un’offerta e una supplica. Vogliamo fare questo particolare dono al Signore soprattutto per domandarGli le grazie necessarie al Sovrano Pontefice per proseguire nell’opera meravigliosa che egli compie sin dall’inizio del suo pontificato e, specialmente oggi, in mezzo a croci e prove.

Visto che il pellegrinaggio avviene appena dopo l’apertura dell’Anno della Fede, c’è una relazione tra i due eventi? 

Certo. Il nostro pellegrinaggio intende anche essere un’espressione di partecipazione alla missione della Chiesa. Vorremmo apportare alla nuova evangelizzazione che il Santo Padre intende promuovere con l’Anno della Fede il contributo della sempre giovane liturgia tradizionale. È ben chiaro che essa è il sostegno di un gran numero di famiglie cosi come di tante organizzazioni e iniziative cattoliche, specialmente rivolte ai giovani (oratori, scuole, corsi di catechismo) e che è fonte di vocazioni religiose e sacerdotali in costante crescita, cosa che oggi, nel mondo occidentale, si rivela estremamente preziosa.

Direi che a volte non si rifletta abbastanza su questa “crisi” vocazionale degli istituti tradizionali, opposta a quella delle diocesi ordinarie, nel senso che sono costretti a respingere candidati al sacerdozio per mancanza di strutture.

Mi sembra infatti che occorra insistere su questo punto. Per grazia di Dio, in certi paesi come la Francia e gli Stati Uniti – ma il fenomeno potrebbe estendersi – la liturgia tradizionale, purtroppo senza colmare tutti i vuoti, conserva una crescita vocazionale importante. In Francia, per esempio, a fronte di 710 seminaristi diocesani, ci sono 140 seminaristi francesi (di cui 50 della FSSPX) in seminari dedicati alla forma straordinaria, vale a dire il 16%. Questo rapporto si ritrova nel numero delle ordinazioni: quest’anno 21 novelli sacerdoti straordinari contro 97 diocesani. Inoltre, la configurazione spirituale di questo nuovo clero diocesano è in piena mutazione: i giovani preti delle diocesi e i seminaristi diocesani sono attratti dalla celebrazione delle due forme del rito e lo dicono espressamente (in Francia, non è esagerato sostenere che almeno un terzo dei candidati al sacerdozio diocesano possa essere considerato come Summorum Pontificum).

È proprio questo che vorremmo esprimere religiosamente con il pellegrinaggio e la Messa a San Pietro del 3 novembre: quello che si può chiamare il popolo Summorum Pontificum, il popolino (le petit peuple) come si dice in francese per indicare la gente comune, è oggi a disposizione del Santo Padre per la missione della Chiesa.

Secondo lei, come si spiegano le critiche e le perplessità sul pellegrinaggio provenienti da certi ambienti italiani? 

Voglio farle una confessione: sono stato io a suggerire che il comitato si formasse attorno a “Una Voce”, un’organizzazione considerata molto “neutra” nel mondo tradizionalista, e per questo meno soggetta a critiche. Inoltre, conoscendo le divisioni nel (piccolo) mondo tradizionalista italiano, l’idea di appoggiarci su un comitato di recente formazione mi sembrava una garanzia per evitare gelosie e rivalità. Mi è sembrato principalmente che le critiche paventassero la formazione di un organismo teso a federare l’intero mondo tradizionalista. Se quella fosse stata la nostra intenzione avremmo fatto prima a rendere la terra quadrata. Penso che tutti in giro per il mondo abbiano capito che questo comitato non è altro che una modesta organizzazione messa insieme espressamente per quest’occasione al fine di lanciare il movimento per il pellegrinaggio, seguirlo fino a San Pietro e dissolversi poi la sera del 3 novembre. Ci tengo poi a sottolineare che la maggior parte delle critiche italiane sono state espresse sul contenuto stesso del Motu Proprio – arricchimento mutuo e rispetto dell’autorità episcopale – e dunque è purtroppo proprio il Papa, in definitiva, ad essere attaccato dai nostri detrattori.

Con quale messaggio intende concludere questa intervista?

Direi – con parole che non hanno nulla di teologico ma che i fedeli potranno capire – che questa Messa del 3 novembre vuole essere una grande messa “parrocchiale”: dei cattolici del mondo intero vengono a pregare insieme, presso il “Parroco universale”, il Papa. Vogliono pregare tutti insieme per lui , e con lui, in questa liturgia latina gregoriana che è per essenza propria una liturgia di comunione. 

da http://vaticaninsider.lastampa.it

Il CREDO di Sant’Atanasio

Quicúmque vult salvus esse,  *
ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem:

Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, *
absque dúbio in aetérnum períbit.

Fides autem cathólica haec est: *
ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.

Neque confundéntes persónas, *
neque substántiam seperántes.

Alia est enim persóna Patris, alia Fílii, *
alia Spíritus Sancti:

Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, *
aequális glória, coaetérna maiéstas.

Qualis Pater, talis Fílius, *
talis Spíritus Sanctus.

Increátus Pater, increátus Fílius, *
increátus Spíritus Sanctus.

Immènsus Pater, imménsus Fílius, *
imménsus Spíritus Sanctus.

Aetérnus Pater, aetérnus Fílius, *
aetérnus Spíritus Sanctus.

Et tamen non tres aetérni, *
sed unus aetérnus.

Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, *
sed unus increátus, et unus imménsus.

Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, *
omnípotens Spíritus Sanctus.

Et tamen non tres omnipoténtes, *
sed unus omnípotens.

Ita Deus Pater, Deus Fílius, *
Deus Spíritus Sanctus.

Et tamen non tres dii, *
sed unus est Deus.

Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, *
Dóminus Spíritus Sanctus.

Et tamen non tres Dómini, *
sed unus est Dóminus.

Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: *
ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur.

Pater a nullo est factus: *
nec creátus, nec génitus.

Fílius a Patre solo est:*
non factus, nec creátus, sed génitus.

Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: *
non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.

Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: *
unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti.

Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil maius aut minus: *
sed totae tres persónae coaetèrnae sibi sunt et coaequáles.

Ita ut per ómnia, sicut iam supra dictum est, *
et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit.

Qui vult ergo salvus esse, *
ita de Trinitáte séntiat.

Sed necessárium est ad aetérnam salútem, *
ut incarnatiónem quoque Dómini nostri Iesu Christi fidéliter credat.

Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, *
quia Dóminus noster Iesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est.

Deus est ex substántia Patris ante saécula génitus: *
et homo est ex substántia matris in saéculo natus.

Perféctus Deus, perféctus homo: *
ex ánima rationáli et humána carne subsístens.

Aequális Patri secúndum divinitátem: *
minor Patre secúndum humanitátem.

Qui, licet Deus sit et homo, *
non duo tamen, sed unus est Christus. .

Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, *
sed assumptióne humanitátis in Deum.

Unus omníno, non confusióne substántiae, *
sed unitáte persónae.

Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo:
ita Deus et homo unus est Christus.

Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: *
tértia die resurréxit a mórtuis.

Ascéndit ad coélos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: *
inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos.

Ad cuius advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis: *
et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.

Et qui bona egérunt, ibunt in vitam aetérnam: *
qui vero mala, in ígnem aetérnum.

Haec est fides cathólica, *
quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.
Amen.

 

TRADUZIONE

Chiunque voglia salvarsi, * 
deve anzitutto possedere la fede cattolica:

Colui che non la conserva integra ed inviolata * 
perirà senza dubbio in eterno. 

La fede cattolica è questa: * 
che veneriamo un unico Dio nella Trinità e la Trinità nell’unità.

Senza confondere le persone, * 
e senza separare la sostanza.

Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio, * 
ed altra quella dello Spirito Santo. 

Ma Padre, Figlio e Spirito Santo sono una sola divinità, * 
con uguale gloria e coeterna maestà. 

Quale è il Padre, tale è il Figlio, * 
tale lo Spirito Santo. 

Increato il Padre, increato il Figlio, * 
increato lo Spirito Santo. 

Immenso il Padre, immenso il Figlio, * 
immenso lo Spirito Santo.

Eterno il Padre, eterno il Figlio, * 
eterno lo Spirito Santo 

E tuttavia non vi sono tre eterni, * 
ma un solo eterno.

Come pure non vi sono tre increati, né tre immensi, * 
ma un solo increato e un solo immenso.

Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, * 
onnipotente lo Spirito Santo.   
  
E tuttavia non vi sono tre onnipotenti, * 
ma un solo onnipotente. 
  
Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, * 
lo Spirito Santo è Dio. 
  
E tuttavia non vi sono tre dei, * 
ma un solo Dio.

Signore è il Padre, Signore è il Figlio, * 
Signore è lo Spirito Santo.

E tuttavia non vi sono tre Signori, * 
ma un solo Signore.  

Poiché come la verità cristiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è singolarmente Dio e Signore: * 
così la religione cattolica ci proibisce di parlare di tre Dei o Signori. 

Il Padre non è stato fatto da alcuno: * 
né creato, né generato. 
  
Il Figlio è dal solo Padre: * 
non fatto, né creato, ma generato.

Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio: * 
non fatto, né creato, né generato, ma da essi procedente.

Vi è dunque un solo Padre, non tre Padri: un solo Figlio, non tre Figli: * 
un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi.

E in questa Trinità non v’è nulla che sia prima o dopo, nulla di maggiore o minore: * 
ma tutte e tre le persone sono l’una all’altra coeterne e coeguali.

Cosicché in tutto, come già detto prima, * 
va venerata l’unità nella Trinità e la Trinità nell’unità. 

Chi dunque vuole salvarsi, * 
pensi in tal modo della Trinità.

Ma per l’eterna salvezza è necessario, * 
credere fedelmente anche all’Incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo.

La retta fede vuole, infatti, che crediamo e confessiamo, * 
che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo.

È Dio, perché generato dalla sostanza del Padre fin dall’eternità: * 
è uomo, perché nato nel tempo dalla sostanza della madre.  

Perfetto Dio, perfetto uomo: * 
sussistente dall’anima razionale e dalla carne umana.

Uguale al Padre secondo la divinità:* 
inferiore al Padre secondo l’umanità. 

E tuttavia, benché sia Dio e uomo, * 
non è duplice ma è un solo Cristo. 
  
Uno solo, non per conversione della divinità in carne, * 
ma per assunzione dell’umanità in Dio.  

Totalmente uno, non per confusione di sostanze, * 
ma per l’unità della persona.

Come infatti anima razionale e carne sono un solo uomo, * 
così Dio e uomo sono un solo Cristo. 

Che patì per la nostra salvezza: discese agli inferi: * 
il terzo giorno è risuscitato dai morti. 

É salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: * 
e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti.

Alla sua venuta tutti gli uomini dovranno risorgere con i loro corpi: * 
e dovranno rendere conto delle proprie azioni.

Coloro che avranno fatto il bene andranno alla vita eterna: * 
coloro, invece, che avranno fatto il male, nel fuoco eterno.

Questa è la fede cattolica, * 
e non potrà essere salvo se non colui che l’abbraccerà fedelmente e fermamente.  
Amen.

 

Pellegrinaggio a Roma: tutti gli appuntamenti

MERCOLEDI’  31 ottobre 
Chiesa della Ss.ma Trinità dei Pellegrini
ore19,15
Primi vespri solenni di Ognissanti
GIOVEDI’ 1° novembre
– TUTTI I SANTI –
Chiesa della Ss.ma Trinità dei Pellegrini
ore 10,30
SANTA MESSA PONTIFICALE
celebrata da S. Em.za Rev.ma il Sig. Cardinale Walter BRANDMULLER
ore 17,30
Secondi vespri solenni per Ognissanti e di seguito primi Vespri solenni per i defunti.
 VENERDI’ 2 novembre
– COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI –
Chiesa della Ss.ma Trinità dei Pellegrini
ore 18,30
S. MESSA PONTIFICALE da Requiem
celebrata da S. Ecc. Rev.ma Mons. SCIACCA,
Segretario del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano
SABATO 3 novembre
Chiesa di San Salvatore in Lauro
dalle ore 10:30
ADORAZIONE EUCARISTICA e ACCOGLIENZA dei pellegrini;
ore 13:30
inizio della PROCESSIONE verso San Pietro:
ore 15:00
BASILICA DI SAN PIETRO IN VATICANO
 S. MESSA PONTIFICALE
celebrata da S. Em.za Rev.ma il Sig. Cardinale Antonio Cañizares,
prefetto della Congregazione per il Culto Divino.
Ai fedeli che assisteranno la S. Messa in San Pietro, sarà applicata, secondo le solite condizioni, l’INDULGENZA PLENARIA concessa dal Papa per l’ANNO DELLA FEDE .
A coloro che non partecipano alla processione, viene consigliato di arrivare almeno un’ora prima dell’inizio della Messa per sottoporsi ai controlli di sicurezza necessari per accedere alla Basilica

Benedetto XVI: “Il cristiano non deve essere tiepido”

“Il cristiano non deve essere tiepido”, perché “la tiepidezza discredita il cristianesimo”. Al contrario, “la fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, fiamma che realmente accende il mio essere; diventa grande passione del mio essere e così accende il prossimo. Questo è il modo dell’evangelizzazione”. Sono le parole pronunciate dal Papa, che è intervenuto oggi a braccio, con una meditazione durante l’ora media, nella prima sessione di lavori del Sinodo dei vescovi. “L’Apocalisse – ha spiegato Benedetto XVI – ci dice che questo è il più grande pericolo del cristiano: no, che dica no; ma che dica un sì molto tiepido”. In una prospettiva cristiana, ha aggiunto, “la verità diventa in me carità e la carità accende come fuoco anche l’altro. Solo in questo accendere dell’altro per la fiamma della nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta”. “La cultura umana – ha fatto notare il Santo Padre – comincia nel momento nel quale l’uomo ha il potere di creare fuoco: con il fuoco posso distruggere, ma con il fuoco posso trasformare, rinnovare. Il fuoco di Dio è fuoco trasformante, fuoco di passione – certamente – che distrugge anche tanto in noi, che porta a Dio, ma fuoco soprattutto che trasforma, rinnova e crea una novità dell’uomo, che diventa luce in Dio”. Di qui l’auspicio che la “confessio” della fede “sia in noi fondata profondamente e che diventi fuoco che accende gli altri: così il fuoco della sua presenza, la novità del suo essere con noi, diventa realmente visibile e forza del presente e del futuro”. Nella prima parte del suo discorso a braccio, il Papa si è soffermato sul significato della parola “evangelium”: “Vangelo – ha detto – vuol dire che Dio ha rotto il suo silenzio, Dio ha parlato, Dio c’è. Questo fatto come tale è salvezza: Dio ci conosce, Dio ci ama, è entrato nella storia”. “Come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi, affinché diventi salvezza?”, si è chiesto il Papa. “Noi non possiamo fare la Chiesa, possiamo solo far conoscere quanto ha fatto Lui. La Chiesa non comincia con il fare nostro, ma con il fare e il parlare di Dio. La prima parola, l’iniziativa vera viene da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina possiamo anche noi divenire evangelizzatori”. Dio solo, dunque, “può creare la Chiesa”, e “quando noi facciamo nuova evangelizzazione è sempre cooperazione con Dio”, ha spiegato Benedetto XVI, ricordando che per i cristiani “la ‘confessio’ non è’ una parola; è più che il dolore, è più che la morte. Chi fa questa ‘confessio’ dimostra così che realmente quanto confessa è più che viva, è la vita stessa, è il tesoro, è la perla preziosa e infinita”.

La Messa del card. Canizares nel commento di R. Moynihan

Robert Moynihan uno dei maggiori blogger tradizionalisti americani, è fondatore ed editore di Inside the Vatican, forse la più informata e letta rivista on-line del cattolicesimo anglofono. Egli è considerato uno dei principali analisti del mondo del Vaticano e ha intervistato Papa Benedetto XVI più di venti volte.

La messa in rito antico ritorna a San Pietro

di Robert Moynihan 

Un solenne Pontificale è in programma per Sabato 3 Novembre alle ore 15,00.

“La celebrazione e l’adorazione dell’Eucarestia permettono di accostarci all’amore di Dio e di aderirvi” – Papa Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis

 “Introibo ad altare Dei…”

Il Cardinale Antonio Canizares Llovera, Spagnolo, 66 anni, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (un uomo considerato molto vicino a Papa Benedetto XVI, tanto che il suo soprannome a Roma è “il piccolo Ratzinger”, in parte a causa della sua bassa statura, più bassa di quella del Papa, ma anche a causa della sua visione teologica e liturgica, molto vicina a quella del Papa) celebrerà la Santa messa Pontificale in San Pietro, sabato 3 Novembre, a conclusione dei 3 giorni del pellegrinaggio della tradizione cattolica.

Data la posizione e le vedute di Canizares, si potrebbe pensare che, simbolicamente parlando, la decisione di permettere la celebrazione di questa Messa nella basilica Vaticana all’inizio dell’ “Anno della Fede” e di avere come celebrante l’uomo a capo del dicastero liturgico del Vaticano, soprannominato “il piccolo Ratzinger”, sia per Roma la scelta strategica più vicina al far celebrare la Messa dal Papa, pur non facendola celebrare, in realtà, dal Papa in persona.

Ma che cosa Benedetto XVI pensi davvero di questa Messa, oltre al fatto di permetterne la celebrazione, non è del tutto chiaro.

Questa è la locandina con i dettagli della Messa. L’immagine presente è velatamente  ingannevole. Nonostante mostri una foto di Benedetto XVI in ginocchio davanti all’altare, il celebrante non sarà Benedetto ma piuttosto Canizares Llovera.

Il titolo “Una cum Papa nostro”, che significa “Con il nostro Papa” o “Uniti al nostro Papa”, enfatizza la lealtà dei Cattolici tradizionalisti al Pontefice, anche se i negoziati con la Fraternità Sacerdotale San Pio X sembrano avere raggiunto un vicolo cieco.

Qual è la vera opinione del Papa sulla Messa in rito antico?

La celebrazione di questa Messa porta alla luce ancora una volta la questione su quale sia la vera posizione di Benedetto XVI a proposito della Messa in rito antico.

La prima risposta a questo importante e fondato interrogativo è… che non abbiamo una risposta precisa.

Negli anni passati, durante gli incontri con il Papa, quando era ancora il Cardinale Ratzinger, gli chiesi più volte quale fosse la sua posizione, e non ho mai sentito una sua risposta esaustiva e chiara.

Ho partecipato a molte Messe celebrate dal Cardinale Ratzinger presso la chiesa del Collegio Teutonico, all’interno delle mura Vaticane, alle 7 di ogni giovedì mattina, e queste Messe venivano sempre celebrate nel nuovo rito, in modo semplice ma solenne.

Posso inoltre dire che, durante le nostre conversazioni, il Cardinale Ratzinger ha più volte manifestato una certa amarezza e indignazione, a proposito del modo in cui la “riforma” liturgica conciliare è stata attuata, affermando che la liturgia era stata sviluppata in “modo non organico” da “professori seduti attorno a un tavolo” e che, da quando è stata introdotta la nuova liturgia, senza sufficienti spiegazioni, i fedeli ordinari si sentivano spesso confusi e a volte scandalizzati. Questa è la posizione che ha riaffermato piuttosto esplicitamente nel suo libro “Lo spirito della Liturgia”.

Tuttavia quando, per esempio, ho sostenuto (nel 1993, quasi 20 anni fa) che il ciclo annuale di letture non avrebbe dovuto essere sostituito da un ciclo triennale di letture (argomentando che il ciclo annuale era in un certo senso più “organico”, più in armonia con il ciclo naturale delle stagioni e quindi in grado di penetrare molto più a fondo, sia psicologicamente che spiritualmente, nei cuori e nelle anime dei fedeli ordinari, che desiderano ascoltare le stesse parole nelle stesse Domeniche di ogni anno, ma nelle diverse circostanze via via determinate dal fluire del tempo e della vita), il Cardinale Ratzinger affermò in modo abbastanza netto che il ciclo triennale era da considerarsi un miglioramento, sostenendo che in questo modo il fedele potesse sentire più brani della Parola di Dio, e non limitarsi ad ascoltare gli stessi brani ogni anno. Queste argomentazioni hanno reso chiaro, almeno a me, che Papa Benedetto in un certo senso considera alcuni aspetti della riforma liturgica conciliare come dei miglioramenti rispetto alla liturgia tradizionale.

Lo scrittore tedesco Martin Mosebach ha scritto un libro brillante sulla Messa in rito antico, sostenendo, a favore della liturgia antica, che le parole e la gestualità favoriscono un atteggiamento di solennità e di umile devozione, facilitando l’attesa contemplativa per la “teofania” – per la manifestazione, qui ed adesso, nello spazio e nel tempo, del Divino, del Signore, di Dio. Mosebach una volta ha affermato che Papa Giovanni Paolo II celebrava privatamente la Messa in rito antico in varie occasioni. Il Vescovo Bernard Fellay, membro della Fraternità Sacerdotale San Pio X (il gruppo tradizionalista fondato dall’Arcivescovo Marcel Lefebvre) ha affermato che “qualcuno nella Curia Romana” gli ha riferito che anche Papa Benedetto, ha più volte, privatamente, celebrato Messa in rito antico. Ma queste sono voci, e non possiamo sapere con certezza se corrispondono a verità.

Un grande problema: la strumentalizzazione della Messa antica come uno “standard”

Un problema notevole è che la Messa antica è molto spesso vista allo stesso tempo come qualcosa  di più e di meno di quello che è in realtà. Questa tendenza fa sì che la questione venga affrontata in termini decisamente emotivi, poco adatti a una discussione razionale. Ciò rappresenta un problema profondo.

Voglio dire che la Messa antica è vista come un modello simbolico che rappresenta  un’intera cultura, un’intera visione del mondo e un’intera civiltà, che possiamo chiamare, per ragioni di brevità, la “Cristianità”.

La Messa antica è vista da molti – sia suoi difensori che detrattori – come lo “standard” di un modello di fede e di cultura che ha attraversato un crisi profonda per più di 200 anni; modello identificato in quel (in molti modi corrotto) “ancien regime”, brutalmente spazzato via dalla Rivoluzione Francese nell’ultimo decennio del XVIII secolo.

Ma la Messa in rito antico non è mai stata questo. Non ha mai incarnato il modello simbolico di una limitata cultura umana. Mai.

Questo modo di vedere la Messa, che teneva banco in passato ma anche in tempi moderni – da entrambi i lati – nella prima metà del ventesimo secolo (al tempo del Movimento Liturgico), nella seconda metà del ventesimo secolo (quando imperversava quella febbrile desiderio post conciliare e post ’68 di rompere con il cosìddetto rigido passato), e nei primi anni del XXI secolo (in un periodo di disorientamento generale e di apparentemente diffuso esaurimento spirituale) è un errore fondamentale e fatale per la religione della Chiesa, e per la vita della Chiesa.

Un errore fondamentale perché questa riduzione della Messa, che è un atto di culto, l’atto supremo della vita ecclesiale, questa semplicistica riduzione di un atto liturgico a un atto che rappresenterebbe solo la forma esterna di uno specifico sistema sociale umano, spesso giudicato come un tipico modello di oppressione sociale; e, soprattutto, l’accettazione di questo ridimensionamento, è la spiegazione profonda del fatto che la vita di grazia sia stata così spesso, così largamente, così comunemente impedita e perfino arrestata, cessando apparentemente di fluire, nella Chiesa dei nostri tempi.

Con questo penso alle centinaia, alle migliaia, ai milioni, alle decine di milioni di fedeli che hanno deciso di smettere di partecipare alla Messa, di smettere di confessarsi, di smettere di sposarsi in Chiesa, di smettere di celebrare Messe funebri in onore dei defunti, di smettere di ricevere l’Eucarestia.

I canali della grazia, i semplici canali per mettere in relazione questo mondo con quello celeste, l’umano col divino, i caduti con i redenti, sono stati insabbiati, nascosti, eliminati…

La Messa antica è stata ed è l’organica espressione della fede dei Cristiani nel Signore Risorto, dalla prima generazione ad oggi. Non è mai stata intesa come la Messa di un regime politico o culturale. E il fatto che col tempo abbia finito per apparire l’espressione di una determinata cultura politica e sociale è uno dei motivi di fondo che hanno indotto i Padri Conciliari ad approvare una “riforma” della liturgia.

Tuttavia la “riforma” della Messa in rito antico a cui si è giunti non è stata la riforma che, in base alla lettera dei documenti del Concilio – a cui Papa Benedetto, in tempi recenti, ha auspicato il ritorno – i Padri Conciliari invocavano.

Così abbiamo attraversato due generazioni di confusione liturgica, e la derivante crisi della fede è stata un’inevitabile conseguenza di questa confusione, perché è vero che lex credendi, lex orandi – la legge della preghiera è la legge della fede; che come preghiamo, così crediamo.

Con queste mie affermazioni non intendo dire che non ci fossero aspetti del “modo di pregare” nella liturgia antica che potessero essere in qualche modo pericolosi per la vera maturità Cristiana. Potrebbe essere vero, in qualche modo, come sostenevano alcuni riformatori, che la liturgia antica tendesse a rafforzare un tipo di devozione semplicistica, una fede simile a una “speranza futuribile” staccata dal “qui ed ora” della chiamata di Cristo ad agire sull’urgente questione della carità e della giustizia sociale. In questa visione, alcuni aspetti della celebrazione della Messa in rito antico come l’uso dell’incenso, le vesti, il mistero, potrebbero aver fatto sì che i fedeli focalizzassero l’attenzione sul “paradiso” tanto da dimenticarsi della “terra”. Ammetto che questo avrebbe potuto e potrebbe essere vero, e costituire una preoccupazione per i riformatori liturgici il cui scopo è costruire il Regno, ora  e nel tempo a venire.

Tuttavia nel progressivo tentativo di cambiare la legge della preghiera per arrivare a una legge della fede più profonda, più attiva, e più sensibile alle esigenze della giustizia, abbiamo imboccato vie tortuose, abbiamo spogliato le nostre chiese dalle statue, distrutto le vetrate decorate, ci siamo rivoltati contro la nostra tradizione culturale, e abbiamo perso la nostra strada.

Benedetto e la Messa in rito antico

Nel 2006, un anno prima che Benedetto XVI promulgasse il Summorum Pontificorum (il provedimento con il quale Benedetto affermò che la Messa in rito antico non fosse sbagliata o eretica, ma nobile, sacra, sempre grandiosa, e che potesse essere celebrata liberamente da ogni sacerdote nella Chiesa), Alice von Hildebrand ebbe un’udienza privata con il Santo Padre. (Io incontrai la Dottoressa Hildebrand a Roma nello stesso periodo in cui ella incontrò il Papa). In quella occasione, faccia  a faccia, sollecitò Benedetto a “liberalizzare” la Messa Tradizionale, e insistette nel voler sapere quando il Santo Padre lo avrebbe fatto. Il Papa rispose che l’avrebbe fatto “in un futuro non troppo lontano” (gli fu necessario un altro anno e due mesi per superare la resistenza di molti prelati di alto rango). Questo scambio di opinioni trapelò.

Ora, molti Cattolici che conservano la visione tradizionale della preghiera della Chiesa e della liturgia si chiedono: il Papa in persona annuncerà, prima o poi, con serenità e senza drammatizzare, “Celebrerò io stesso la messa in rito antico nella Basilica di San Pietro”?

Penso che questo potrebbe accadere nel corso del corrente Anno della Fede, proprio perché la legge della preghiera è la legge della fede.

Ed anche perché questo è l’unico gesto del Papa che potrebbe avere un enorme impatto sui nostri fratelli Ortodossi, i quali temono l’impatto degli elementi secolari sulla nostra liturgia riformata, e sarebbero maggiormente inclini ad intraprendere il dialogo ecumenico con la Chiesa Cattolica qualora la liturgia antica venisse maggiormente “riabilitata” rispetto a quanto è già stato fatto fino ad ora.

Alcuni anni fa, con l’esortazione apostolica Sacramentorum Caritatis, Papa Benedetto incoraggiò una più diffusa conoscenza ed un uso più diffuso delle Preghiere della Messa in latino e del canto gregoriano, ribadendo un’affermazione del Sinodo dei Vescovi del 2005 circa “l’influenza benefica” sulla vita della Chiesa delle variazioni intervenute nella liturgia dopo il Concilio Vaticano Secondo.

Tuttavia, il Papa approvò anche il suggerimento del Sinodo che nelle Messe in occasione di vasti incontri internazionali, la Liturgia venisse celebrata in Latino “con l’eccezione delle letture, dell’omelia e delle preghiere dei fedeli” (Ovviamente, egli si riferiva alla celebrazione della “nuova” Messa in Latino e non di quella in rito antico).

Che cosa significherebbe se Benedetto scegliesse di celebrare la liturgia antica in san Pietro?

Se Benedetto lo facesse, non vorrebbe dire che è un sostenitore dell’ancien regime. Egli non vorrebbe essere definito un reazionario.

Al contrario, il Papa vorrebbe dire che la forma straordinaria del rito Romano, l’antica Messa in latino, non è un modello, o una copertura per sentimenti reazionari, ma qualcosa di diverso e molto più grande: un insieme di preghiere molto semplici, molto antiche, molto vicine alle radici giudaiche, di suppliche, azioni e gesti che richiamano e rappresentano la sofferenza di Gesù Cristo sul Calvario a Gerusalemme; e che questi validi, efficaci e straordinariamente belli preghiere, suppliche, azioni e gesti sono adatti ai Cattolici oggi e in futuro, come lo sono sempre stati in passato.

Fra tre mesi, Benedetto XVI sarà il quarto papa più anziano dopo Leone XIII, Clemente XII e Clemente X.

Fonte: The Moyniham Report (http://www.themoynihanreport.com/)

L’abbé Barthe sulla messa del Cardinal Cañizares in San Pietro a Roma: «Una riunione di famiglia»

Il Coetus Internationalis Summorum Pontificum ha recentemente annunciato il programma della giornata conclusiva del Pellegrinaggio “Una cum Papa nostro”, che si terrà a Roma dal 1° al 3 novembre 2012. Senza eccessivo clamore, il CISP svela così anche il nome del celebrante della messa di chiusura del pellegrinaggio, sabato 3 novembre alle h. 15 nella basilica di San Pietro a Roma: niente meno che il Prefetto del Culto Divino, il Cardinale Antonio Cañizares Llovera.

Per comprendere la portata di tale celebrazione, abbiamo chiesto al cappellano del pellegrinaggio, l’abbé Claude Barthe, il senso della partecipazione del Prefetto del Culto Divino al pellegrinaggio stesso.

Abbè Barthe: Considerati i fini spirituali della celebrazione nella Basilica Vaticana, il fatto che il celebrante sia il Cardinale Antonio Cañizares Llovera è particolarmente commovente. Sappiamo, infatti, che la celebrazione è destinata:

 – ad offrire una S. Messa nella forma straordinaria di ringraziamento e di supporto filiale al Santo Padre nel quinto anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum;

– a manifestare l’amore dei pellegrini per la Chiesa e la loro fedeltà alla Sede di Pietro;

– ad esprimere visibilmente il contributo della liturgia tradizionale alla nuova evangelizzazione che il Santo Padre intende promuovere con l’Anno della Fede.

Ora, la qualità del celebrante, che è il responsabile della Liturgia romana in nome del Papa, dà a questo omaggio un particolare rilievo. Il Card. Cañizares Llovera, infatti, ha già celebrato più volte e in diversi luoghi la Messa nella forma straordinaria, segnatamente in occasione di ordinazioni sacerdotali, nella maggior parte dei casi su invito delle Comunità Ecclesia Dei, ma anche per i Francescani dell’Immacolata, e sempre con grande benevolenza. Ma oggi c’è di più: la messa sulla Tomba di Pietro sarà certamente solenne, ma anche “popolare”. Infatti, la folla di coloro che, grazie al Motu Proprio Summorum Pontificum, possono beneficiare nelle loro parrocchie della messa nella forma straordinaria – sacerdoti in cura d’anime, fedeli e seminaristi diocesani – si ritroverà intorno al card. Canizares che, in quanto delegato del Santo Padre per la liturgia, in quel giorno sarà un po’ come il “parroco” universale di tutti loro. Sacerdoti, fedeli e seminaristi canteranno la Missa de Angelis in San Pietro a Roma, proprio come fanno, o dovrebbero ormai poter fare, ogni domenica nelle loro parrocchie.

Per chi conosce il carattere sensibile e affettuoso del cardinale, nonché il credo liturgico che questi semplici e comuni fedeli testimonieranno riconoscenti al Santo Padre, la celebrazione accanto a Don Antonio assume l’aspetto di una calorosa riunione di famiglia.

Fonte: Risposte catholique (www.riposte-catholique.fr).

7 ottobre: Madonna del Rosario

di dom Prosper Gueranger

 

Devozione della Chiesa per Maria.

La Liturgia nel corso dell’anno ci ha mostrato più volte che Gesù e Maria sono così uniti nel piano divino della Redenzione che si incontrano sempre insieme ed è impossibile separarli sia nel culto pubblico che nella devozione privata. La Chiesa, che proclama Maria Mediatrice di tutte le grazie, la invoca continuamente per ottenere i frutti della Redenzione che con il Figlio ha acquistati. Comincia sempre l’anno liturgico col tempo di Avvento, che è un vero mese di Maria, invita i fedeli a consacrarle il mese di maggio, ha disposto che il mese di ottobre sia il mese del Rosario e le feste di Maria nel Calendario Liturgico sono così numerose che non passa un giorno solo dell’anno, senza che Maria in qualche luogo della terra sia festeggiata sotto un titolo o sotto un altro, dalla Chiesa universale, da una diocesi o da un Ordine religioso.

La festa del Rosario.

La Chiesa riassume nella festa di oggi tutte le solennità dell’anno e, con i misteri di Gesù e della Madre sua, compone come un’immensa ghirlanda per unirci a questi misteri e farceli vivere e una triplice corona, che posa sulla testa di Colei, che il Cristo Re ha incoronata Regina e Signora dell’Universo, nel giorno del suo ingresso in cielo.

Misteri di gioia che ci riparlano dell’Annunciazione, della Visitazione, della Natività, della Purificazione di Maria, di Gesù ritrovato nel tempio; Misteri di dolore, dell’agonia, della flagellazione, della coronazione di spine, della croce sulle spalle piagate e della crocifissione; Misteri di gloria, cioè della Risurrezione, dell’Ascensione del Salvatore, della Pentecoste, dell’Assunzione e dell’incoronazione della Madre di Dio. Ecco il Rosario di Maria.

Storia della festa.

La festa del Rosario fu istituita da san Pio V, in ricordo della vittoria riportata a Lepanto sui Turchi. È, cosa nota come nel secolo XVI dopo avere occupato Costantinopoli, Belgrado e Rodi, i Maomettani minacciassero l’intera cristianità. Il Papa san Pio V, alleato con il re di Spagna Filippo II e la Repubblica di Venezia, dichiarò la guerra e Don Giovanni d’Austria, comandante della flotta, ebbe l’ordine di dar battaglia il più presto possibile. Saputo che la flotta turca era nel golfo di Lepanto, l’attaccò il 7 ottobre dei 1571 presso le isole Echinadi. Nel mondo intero le confraternite del Rosario pregavano intanto con fiducia. I soldati di Don Giovanni d’Austria implorarono il soccorso del cielo in ginocchio e poi, sebbene inferiori per numero, cominciarono la lotta. Dopo 4 ore di battaglia spaventosa, di 300 vascelli nemici solo 40 poterono fuggire e gli altri erano colati a picco mentre 40.000 turchi erano morti. L’Europa era salva.

Nell’istante stesso in cui seguivano gli avvenimenti, san Pio V aveva la visione della vittoria, si inginocchiava per ringraziare il cielo e ordinava per il 7 ottobre di ogni anno una festa in onore della Vergine delle Vittorie, titolo cambiato poi da Gregorio XIII in quello di Madonna del Rosario.

Il Rosario.

L’uso di recitare Pater e Ave Maria risale a tempi remotissimi, ma la preghiera meditata del Rosario come noi l’abbiamo oggi è attribuita a san Domenico. È per lo meno certo che egli molto lavorò con i suoi religiosi per la propagazione del Rosario e che ne fece l’arma principale nella lotta contro gli eretici Albigesi, che nel secolo XIII infestavano il sud della Francia.

La pia pratica tende a far rivivere nell’anima nostra i misteri della nostra salvezza, mentre con la loro meditazione si accompagna la recita di decine di Ave Maria, precedute dal Pater e seguite dal Gloria Patri. A prima vista la recita di molte Ave Maria può parere cosa monotona, ma con un poco di attenzione e di abitudine, la meditazione, sempre nuova e più approfondita, dei misteri della nostra salvezza, porta grandiosità e varietà. D’altra parte si può dire che nel Rosario si trova tutta la religione e come la somma di tutto il cristianesimo.

Il Rosario è una somma di fede: riassunto cioè delle verità che noi dobbiamo credere, che ci presenta sotto forma sensibile e vivente. Le espone unendovi la preghiera, che ottiene la grazia per meglio comprenderle e gustarle.

Il Rosario è una somma di morale: Tutta la morale si riassume nel seguire e imitare Colui, che è ” la Via, la Verità, la Vita ” e con la preghiera dei Rosario noi otteniamo da Maria la grazia e la forza di imitare il suo divino Figliolo.

Il Rosario è una somma di culto: Unendoci a Cristo nei misteri meditati, diamo al Padre l’adorazione in spirito e verità, che Egli da noi attende e ci uniamo a Gesù e Maria per chiedere, con loro e per mezzo loro, le grazie delle quali abbiamo bisogno.

Il Rosario sviluppa le virtù teologali e ci offre il mezzo di irrobustire la nostra carità, fortificando le virtù della speranza e della fede, perché “con la meditazione frequente di questi misteri l’anima si infiamma di amore e di riconoscenza di fronte alle prove di amore che Dio ci ha date e desidera con ardore le ricompense celesti, che Cristo ha conquistate per quelli che saranno uniti a Lui, imitando i suoi esempi e partecipando ai suoi dolori. In questa forma di orazione la preghiera si esprime con parole, che vengono da Dio stesso, dall’Arcangelo Gabriele e dalla Chiesa ed è piena di lodi e di domande salutari, mentre si rinnova e si prolunga in ordine, determinato e vario nello stesso tempo, e produce frutti di pietà sempre dolci e sempre nuovi” (Enciclica Octobri mense del 22 settembre 1891).

Il Rosario unisce le nostre preghiere a quelle di Maria nostra Madre. “Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi poveri peccatori”. Ripetiamo con rispetto il saluto dell’Angelo e umilmente aggiungiamo la supplica della confidenza filiale. Se la divinità, anche se incarnata e fatta uomo, resta capace di incutere timore, quale timore potremmo avere di questa donna della stessa nostra natura, che ha in eterno il compito di comunicare alle creature le ricchezze e le misericordie dell’Altissimo? Confidenza filiale. Sì, perché l’onnipotenza di Maria viene dal fatto di essere Madre di Gesù, l’Onnipotente, e ha diritto alla nostra confidenza, perché è nello stesso tempo nostra Madre, non solo in virtù del testamento dettato da Gesù sulla Croce, quando disse a Giovanni: “Ecco tua Madre”, e a Maria: “Ecco tuo figlio”, ma ancora perché nell’istante dell’Incarnazione, la Vergine concepì, insieme con Gesù, tutta l’umanità, che egli incorporava a sé.

Membri del Corpo mistico di cui Cristo è il capo, siamo stati formati con Gesù nel seno materno della Vergine Maria e vi restiamo fino al giorno della nostra nascita alla vita eterna.

Maternità spirituale, ma vera, che ci mette con la Madre in rapporti di dipendenza e di intimità profondi, rapporti di bambino nel seno della Madre.

Qui è il segreto della nostra devozione per Maria: è nostra Madre e come tale sappiamo di poter tutto chiedere al suo amore, perché siamo suoi figli!

Ma, se la madre, appunto perché madre, pensa necessariamente ai suoi figli, i figli, per l’età, sono facili a distrarsi e il Rosario è lo strumento benedetto che conserva la nostra intimità con Maria e ci fa penetrare sempre più profondamente nel suo cuore.

Strumento divino il Rosario che la Vergine porta in tutte le sue apparizioni da un secolo in qua e che non cessa di raccomandare. Strumento della devozione cattolica per eccellenza, in cui l’umile donna senza istruzione e il sapiente teologo sono a loro agio, perché vi trovano il cammino luminoso e splendido, la via mariana, che conduce a Cristo e, per Cristo, al Padre.

Così considerato il Rosario realizza tutte le condizioni di una preghiera efficace, ci fa vivere nell’intimità di Maria e, essendo essa Mediatrice, suo compito è di condurci a Dio, di portare le nostre preghiere fino al cuore di Dio. Per Maria diciamo i Pater, che inquadrano le decine di Ave Maria, e, siccome quella è la preghiera di Cristo e contiene tutto ciò che Dio volle che noi gli chiedessimo, noi siamo sicuri di essere esauditi.

MESSA

EPISTOLA (Prov. 8, 22-25; 32-35). – Il Signore mi possedette all’inizio delle sue opere, fin dal principio, avanti la creazione. Ab aeterno fui stabilita, al principio, avanti che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi, ed io ero già concepita. Or dunque, o figli, ascoltatemi: Beati quelli che battono le mie vie. Ascoltate i miei avvisi per diventare saggi: non li ricusate. Beato l’uomo che mi ascolta e veglia ogni giorno alla mia porta, e aspetta all’ingresso della mia casa. Chi troverà me, avrà trovato la vita, e riceverà dal Signore la salute.

Maria nel compito di educatrice.

Non si può eludere il carattere mariano di questa pagina dei Proverbi, obiettando che si applica al Verbo Incarnato e solo per accomodamento la Chiesa la riferisce alla Santa Vergine. La Chiesa non fa giochi di parole e la Liturgia non si diverte a far bisticci. Trattandosi di vite, che nel pensiero di Dio e nella realtà sono unite insieme, come le vite del Signore e della Madre sua unite nello stesso decreto di predestinazione, il senso accomodatizio è in sé e deve esserlo per noi uno degli aspetti multipli del senso letterale.

“Giova a noi, per onorare Maria, considerarla agente della nostra educazione soprannaturale. Noi non siamo mai grandi per Dio, né per la nostra madre, né per la Madre di Dio. Come non vi è cristianesimo senza la Santa Vergine così se l’amore di Dio non è accompagnato da un tenero amore per la Santa Vergine qualsiasi vita soprannaturale è in qualche modo mancante.

Maria è tutto quello che Essa insegnerà a chi l’ascolta e l’ama: l’esempio, la carità, l’influenza persuasiva…

Maria ha educato il Figlio ed educherà noi. Non si resiste ad una Madre” (Dom Delatte, Omelie sulla Santa Vergine, Plon, 1951).

Parole benedette.

Il Vangelo è quello del Santo nome di Maria del 12 settembre.

Il Vangelo dell’Incarnazione dei quale rileggiamo volentieri le parole. Parole benedette perché vengono da Dio: L’Angelo infatti ne è soltanto il messaggero, parole e messaggio gli sono stati affidati da Dio. Parole benedette perché vengono da Maria, che, sola, poté riferire con ferma precisione di dettagli, che rivelano un testimonio e una esperienza immediata.

Messaggio di gioia.

Questo messaggio è un messaggio di gioia. La gioia mancava nel mondo da molto tempo: era sparita dopo il primo peccato. Tutta l’economia dell’Antico Testamento e tutta la storia dell’umanità portavano un velo di tristezza, perché era continuamente presente all’uomo la coscienza di una inimicizia nei suoi rapporti con Dio, che doveva ancora essere espiata. Il messaggio è preceduto da un saluto pieno di gioia e da una parola pacifica, carezzevole: Ave. Questo Ave, primo elemento del messaggio, detto una volta verrà poi ripetuto per l’eternità.

La fede di Maria.

La fede di Maria fu perfetta e non dubitò della verità divina neppure nel momento in cui chiedeva all’Angelo come si poteva compiere il messaggio. Gabriele rivelò il modo verginale della concezione promessa, sollecitando il consenso della Vergine per l’unione ipostatica, perché, per l’onore della Vergine e per l’onore della natura umana, Dio voleva avere da Maria il posto che avrebbe occupato nella sua creazione. E allora fu pronunziata con libertà e con consapevolezza la parola, che farà eco fino all’eternità: “Io sono l’umile ancella dei Signore: sia fatto secondo la sua volontà” (Dom Delatte: Opere citate).

Preghiera alla Vergine del Rosario.

Ti saluto, o Maria, nella dolcezza del tuo gioioso mistero e all’inizio della beata Incarnazione, che fece di te la Madre dei Salvatore e la madre dell’anima mia. Ti benedico per la luce dolcissima che hai portato sulla terra.

O Signora di ogni gioia, insegnaci le virtù che danno la pace ai cuori e, su questa terra, dove il dolore abbonda, fa che i figli camminino nella luce di Dio affinché, la loro mano nella tua mano materna, possano raggiungere e possedere pienamente la meta cui il tuo cuore li chiama, il Figlio del tuo amore, il Signore Gesù.

Ti saluto, o Maria, Madre del dolore, nel mistero dell’amore più grande, nella Passione e nella morte del mio Signore Gesù Cristo e, unendo le mie lacrime alle tue, vorrei amarti in modo che il mio cuore, ferito come il tuo dai chiodi che hanno straziato il mio Salvatore, sanguinasse come sanguinano quelli del Figlio e della Madre. Ti benedico, o Madre del Redentore e Corredentrice, nel purpureo splendore dell’Amore crocifisso, ti benedico per il sacrificio, accettato al tempio ed ora consumato con l’offerta alla giustizia di Dio del Figlio della tua tenerezza e della tua verginità, in olocausto perfetto.

Ti benedico, perché il sangue prezioso che ora cola per lavare i peccati degli uomini, ebbe la sua sorgente nel tuo Cuore purissimo. Ti supplico, o Madre mia, di condurmi alle vette dall’amore che solo l’unione più intima alla Passione e alla morte dell’amato Signore può far raggiungere.

Ti saluto, Maria, nella gloria della tua Regalità. Il dolore della terra ha ceduto il posto a delizie infinite e la porpora sanguinante ti ha tessuto il manto meraviglioso, che si addice alla Madre dei Re dei re e alla Regina degli Angeli. Permetti che levi i miei occhi verso di te durante lo splendore dei tuoi trionfi, o mia amabile Sovrana, e diranno i miei occhi, meglio di qualsiasi parola, l’amore del figlio il desiderio di contemplarti con Gesù nell’eternità, perché tu se!, Bella, perché sei Buona, o Clemente, o Pia, o Dolce Vergine Maria!

Pellegrinaggio dei “Summorum Pontificum”: iniziativa a Piacenza domenica prossima

Pubblichiamo il comunicato stampa  della Confraternita della Beata Vergine del Suffragio, di Piacenza, e dell’Associazione “San Gregorio Magno”, di Castel San Giovanni, che congiuntamente parteciperanno alla recita del S. Rosario (con successiva S. Messa), in vista del Pellegrinaggio a Roma del prossimo 3 novembre

Dal 1 al 3 novembre si terrà a Roma il primo Pellegrinaggio internazionale dei coetus fidelium Summorum Pontificum: cioè dei movimenti, associazioni e gruppi di fedeli che, avvalendosi del motu proprio Summorum Pontificum, emanato da Benedetto XVI nel luglio del 2007, curano la celebrazione della Messa in latino secondo il messale promulgato nel 1962 dal Beato Giovanni XXIII. Si tratta, cioè, della Messa così come veniva celebrata prima della riforma liturgica intrapresa nel 1965 ed entrata definitivamente in vigore nel 1970. Com’è noto, nella nostra provincia la Messa in latino è celebrata ogni domenica a Piacenza nella chiesa di San Giorgino, su iniziativa della Confraternita della Beata Vergine del Suffragio, e ogni ultimo sabato del mese a Castel San Giovanni, nella Chiesa cosiddetta “dei Sacchi”, su iniziativa dell’Associazione San Gregorio Magno.
Il Pellegrinaggio – che è stato indetto in apertura dell’Anno delle Fede, e che dispone di un sito internet ufficiale (www.unacumpapanostro.wordpress.com) – culminerà sabato 3 novembre con una Messa solenne che sarà celebrata alle h. 15,00 nella basilica di San Pietro in Vaticano. Per la sua organizzazione, che è stata promossa esclusivamente da gruppi laicali, si è costituito, lo scorso 14 luglio, un apposito comitato (il Coetus Internationalis Summorum Pontificum), al quale aderiscono molteplici organizzazioni nazionali e non, che ha invitato tutti i gruppi che si preparano ad andare a Roma ad unirsi in preghiera per il buon esito del Pellegrinaggio, e per i suoi fini spirituali, nella giornata di domenica prossima, 7 ottobre, festa della Madonna del Rosario, e anniversario della battaglia di Lepanto.
La Confraternita della Beata Vergine del Suffragio e l’Associazione San Gregorio Magno hanno accolto l’invito del Coetus Internationalis, e si riuniranno domenica, alle h. 10,45, a Piacenza, presso la Chiesa di San Giorgino in via Sopramuro, per la recita del rosario, e per la successiva celebrazione della Messa, ovviamente in latino secondo il Messale del 1962.
Tutti i fedeli che amano la liturgia tradizionale e che intendono aderire spiritualmente al Pellegrinaggio sono vivamente invitati a partecipare.

Pellegrinaggio a Roma: cambia l’orario della S. Messa

Facendo seguito alla conferenza stampa del 10 settembre, il Coetus Internationalis Summorum Pontificum desidera annunciare la variazione di orario della Santa Messa nella forma straordinaria del rito romano. La Messa avrà luogo nella Basilica di San Pietro alle ore 3.00 del pomeriggio di Sabato 3 Novembre 2012. Questo cambiamento è stato fatto per facilitare la celebrazione della Messa annuale del Santo Padre per i membri defunti del Sacro Collegio dei Cardinali in quella mattina.

Siamo una cosa sola con il Santo Padre e accettiamo senza questioni questo cambiamento d’orario.

Il Coetus Internationalis Summorum Pontificum invita tutti i fedeli legati alla forma straordinaria del Rito Romano a raddoppiare i loro sforzi per mostrare il loro sostegno al Santo Padre e al suo documento Summorum Pontificum.

Il Coetus Internationalis Summorum Pontificum invita tutti i fedeli che vengono Roma, e anche quelli che non potranno venire, ad unirsi al Santo Padre nella preghiera di suffragio per le anime dei Cardinali defunti.

Contatti:

Segreteria Generale del CISP: orga.cisp@mail.com

Portavoce ufficiale del Pellegrinaggio: secretary@fiuv.org