Aperite mihi portas iustitiae. Haec porta Domini. Introibo in domum tuam, Domine. COME LUCRARE L’INDULGENZA

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Durante l’Anno Santo della Misericordia è possibile ottenere l’Indulgenza giubilare recandosi in pellegrinaggio verso la Porta Santa come segno di profonda conversione.

“…L’Indulgenza – ed è qui la sua preziosità – sta nel fatto di poter essere fruitori della misericordia infinita di Dio che va a pulire tutto – come un aspirapolvere divino, se non fosse irriguardoso dire questo – portando via anche tutti i granelli.
Per cui, quando una persona ha ricevuto l’Indulgenza, dopo la Confessione, effettivamente è come dopo il Battesimo: praticamente ricomincia una nuova vita.
Quindi sarebbe da illustrare e soprattutto da aiutare le persone a porsi nelle condizioni per poter ricevere l’Indulgenza.

Perché è chiaro che ci sono le condizioni per l’Indulgenza e cioè la Comunione e la Confessione nell’arco di tempo conveniente, il fatto di pregare secondo le intenzioni del Santo Padre, il fatto di dire un Padre Nostro e un Credo … ma questo è nulla in confronto a ciò che ci viene donato e questo ci deve anche essere perché in qualche modo struttura il modo di riceverla; però, la sostanza è la contrizione del cuore, cioè un atto d’amore perfetto davanti a Dio e per il prossimo.
E questo ci fa ottenere l’Indulgenza.
E quindi, ecco, l’Anno Santo si focalizza su due punti centrali, che sono la Confessione e l’Indulgenza.
D. – La Porta Santa, durante questo Giubileo, è la porta della Misericordia. Ma che cosa significa?
R. – La porta, in una costruzione, in un edificio ecclesiastico, ha sempre una grande importanza simbolica.
Perché? Qui si dovrebbe andare al Vangelo di San Giovanni, al X capitolo, dove Gesù dice di sé: “Io sono la porta. Se uno entra attraverso di me, sarà salvo”.
E il riferimento è al passaggio dallo stato di peccato allo stato di grazia.
Quindi, il Santo Padre indicando la porta indica questa teologia che sta dentro a questa espressione di Gesù.
E’ chiaro che passare una porta non è un fatto “magico”, ma è un segno religioso se io do un contenuto.

Sa, ogni cosa che noi facciamo come gesti, che so, se metto il dito nell’acqua benedetta e mi segno facendo il segno della croce, non compio un gesto magico ma proporzionatamente alla fede che io metto, ricordando l’acqua del Battesimo in cui mi sono inserito in Cristo, allora mi possono venire cancellati i peccati veniali, tanta è la misericordia di Dio che ci viene incontro.
E così “passo la porta”.
Se io vado con fede, mi raccolgo interiormente e penso e dico: voglio passare da uno stadio di vita a un altro stadio di vita; facendomi l’esame di coscienza mi sono ritrovato questa polvere che mi si è attaccata sui vestiti o sulla pelle durante il pellegrinaggio di questo mondo: allora voglio passare a una visione più strettamente legata al Vangelo.
Allora, in questo senso riconosco che Cristo è la mia porta, che Cristo è la mia liberazione e sento quasi echeggiare nell’anima e nell’orecchio quelle parole di Gesù: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo”.
Ecco che allora siamo in sintonia con quello che il Santo Padre ha voluto dirci indicandoci la porta.”
(Dall’intervista al Cardinale Penitenziere Maggiore Card.Mauro Piacenza)

Fonte : Radio Vaticana 08.12.2015

L’omelia di mons. Negri al pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum

Vi proponiamo in esclusiva la trascrizione dell’omelia pronunciata da Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa, nella Basilica Vaticana durante la messa pontificale celebrata da Monsignor Juan Rodolfo Laise, ofm cap., in occasione del quarto pellegrinaggio internazionale del popolo Summorum Pontificum a Roma, sabato 24 ottobre 2015.

Nel corso di quest’omelia, pronunciata a braccio e con un eloquio semplice ma molto potente, Monsignor Negri ha messo in risalto la doppia attitudine della Chiesa nella sua missione evangelizzatrice delle civilizzazioni umane, accettando e “cristificando” ciò che essa può e deve ricevere, ma al contempo rifiutando fermamente ciò che il mondo, e specialmente quello moderno, propone di contrario alla legge di Cristo. Verso la fine della sua predicazione, ha lanciato ai fedeli un avvertimento solenne verso la vecchia tentazione liberale che fa che i cristiani passino dalla parte del nemico: la sottomissione alla mentalità dominante.

Ricordiamo che quest’omelia vigorosa è stata pronunciata nel giorno della chiusura del Sinodo dei vescovi, alla stessa ora in cui, qualche centinaio di metri più in là, i Padri sinodali votavano, in un clima di fortissime tensioni, il documento finale sulla famiglia. Tra questi Padri sinodali si trovava il cardinale Cafarra che Monsignor Negri aveva accettato di sostituire per annunciare la parola di Dio ai pellegrini del popolo Summorum Pontificum.

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OMELIA DI MONS. LUIGI NEGRI PER IL IV PELLEGRINAGGIO POPULUS SUMMORUM PONTIFICUM
(Basilica vaticana – 24 ottobre 2015)

Sia lodato Gesù Cristo
Sempre sia lodato.

La parola della liturgia richiama la grande attesa della salvezza dell’intera umanità e, in particolare, l’attesa dei poveri, degli umili, dei disperati. Quella stessa attesa che ad un certo punto si muovesse l’acqua della piscina, perché qualcuno potesse entrare in essa e così partecipare della novità di vita identificata nel Messia d’Israele.

Ecco! Ora l’attesa è finita. L’attesa è finita perché l’avvenimento di Cristo ha squarciato definitivamente i cieli ed è penetrato dentro lo spessore della storia – dell’intera Storia – con tutte le sue grandezze e le sue povertà, con tutti i suoi limiti e le sue tentazioni, ma anche con l’immensa capacità dell’uomo, di affrontare responsabilmente, di generazione in generazione, il problema del destino della sua vita, del fine a cui è chiamato, del Regno di Dio cui tendiamo e che è in mezzo a noi.

È Cristo la vita nuova in mezzo a noi: la vita è pienamente realizzata in Lui, nel mistero della Sua Morte e Resurrezione e della Sua Ascensione, mistero comunicato a ciascuno nella profondità della nostra fede e nell’intensità della nostra carità.

Vita nuova perché la salvezza è una. E’ una nuova dilatazione dell’intelligenza e del cuore che si traduce poi in una nuova sensibilità verso sé stessi, verso gli altri, verso la realtà. Questa umanità nuova è dentro di noi come grazia, come dono della fede. Come verità non meritata ma offerta gratuitamente a quell’attesa profonda che anima la nostra esistenza.

Di fronte a questa grazia noi non siamo e non possiamo rimanere inerti come abbandonandoci ad una sorta di fatalismo che non è cristiano. Noi dobbiamo assumerci la nostra responsabilità, perché la grazia, principio di vita nuova in noi, sede di vita nuova in noi, possa maturare, possa investire e realizzarsi nella nostra umanità, ma soprattutto, realizzandosi nella nostra umanità, possa diventare principio di missione, principio di comunicazione. La fede ci è data per comunicare.

Nella Redemptoris Missio, San Giovanni Paolo II diceva: la fede si irrobustisce donando. Dunque, la gratitudine per la grazia che ci è stata data, diviene, nella profondità della nostra coscienza e del nostro vivere quotidiano, l’intendimento a offrire il nostro contributo alla grande missione di Cristo e della Chiesa. Un impegno a cui dobbiamo collaborare con tutte le nostre forze, quali siano gli ambiti del quotidiano, le circostanze che affrontiamo, i luoghi e le funzioni che abbiamo.

Una sola grande vocazione appartiene al popolo cristiano: comunicare la vita nuova di Cristo ad ogni uomo perché ogni uomo possa, investito di questa grazia, se vuole, corrispondere e fare anch’egli, a sua volta, esperienza di questa novità. Dunque la responsabilità cristiana è la missione, e questa è stata la grande e straordinaria, lezione della Chiesa nella sua storia bimillenaria, variegata faticosa, talora segnata da tanti limiti, ma segnata anche da tanta gloria.

La Chiesa è questa presenza inesorabile della vita di Cristo che viene offerta a tutti coloro che qualche volta non la desiderano neppure, ma dalla nostra presenza di testimoni vengono sollecitati a guardare Cristo, magari per la prima volta, in un mondo come quello in cui viviamo, così lontano dalla presenza del Signore.

Questa missione ha visto la sua identità, la sua moralità scandita da due grandi parole che nella sua storia la Chiesa ha spesso potuto e dovuto dire: la prima parola è la parola POSSIAMO,POSSUMUS, e in questa parola, in questo atteggiamento la Chiesa ha, di generazione in generazione, incontrato l’umanità; la fede ha incontrato la ragione; la libertà cristiana ha incontrato la legge umana; le vicende della vita, dei popoli e delle nazioni sono state inculturate dalla fede cattolica, così che, in più di un caso, questa fede cattolica ha saputo dare un contributo significativo a forme di cultura e di civiltà.

Nel possumus la Chiesa e il mondo si sono incontrati. L’umanità in ricerca si è incontrata con la Chiesa che porta il Dio che si rivela. L’esistenza umana, personale e sociale, questa grande storia di cultura e di civiltà, è significata dalla grande cultura cattolica che non è ancora finita e che ci parla attraverso le più diverse forme di espressione culturale. La missione ha avuto certamente nell’orizzonte del possumus la capacità di dare un contributo significativo all’incremento della vita umana, personale e sociale.

Ma la Chiesa ha potuto e dovuto dire, in modo inesorabile, anche un’altra parola: NON POSSIAMO NON POSSUMUS. La Chiesa in molte occasioni ha dovuto dire che non era lecito non denunciare il tentativo di eliminare la presenza della Chiesa dalla vita della società, ridurre i diritti di Dio, i diritti della Chiesa, e quindi inesorabilmente contribuire al degrado della vita umana e sociale. Non possiamo. Non c’è stato nessun momento della storia per quanto drammatica, soprattutto dell’occidente europeo, in cui la Chiesa non si sia, talvolta anche da sola, assunta la responsabilità di negare la legittimità di certe ideologie, la legittimità di certe impostazioni culturali, sociali e politiche.

La Chiesa, nel suo non possumus, non ha chiuso il dialogo con gli uomini, ma ha negato che le ideologie potessero essere un avvenimento significativo per la sua vita. La denuncia di ciò che contrastando la Chiesa avvilisce l’uomo, il mistero della vita, il mistero dell’amore. La sacralità della paternità e della maternità, gli avvenimenti più significativi della vita umana, stravolti, abbattuti, sostituiti da forme assolutamente inaccettabili di convivenze personali, familiari o sociali.

La Chiesa non potrà mai dire solo possumus, come non potrà mai dire soltanto non possumus, Dovrà, nella responsabilità missionaria, rendere possibile l’incontro fra Cristo e il cuore dell’uomo, dovrà sapere ritmare le aperture e le chiusure, le accoglienze intellettuali e morali e la negazione per tutto ciò che va contro i diritti di Dio. E andando contro i diritti di Dio mette le condizioni per un degrado, per una disumanizzazione della vita umana e sociale di cui è terribile esperienza la società in cui la Chiesa vive oggi.

Guai a noi dunque fratelli, se sostituiamo al binomio possumus – non possumus, un possumus a senso unico che consegna la cristianità alla mentalità dominante, che fa diventare obbiettivo della nostra vita ciò che è perseguito dal mondo nel suo aspetto negativo e diabolico: l’eliminazione di Cristo e della Chiesa. Noi non possiamo accettare che troppi avvenimenti o iniziative o tentativi in questo variegato mondo cattolico, siano fortemente condizionati da una volontà di piacere al mondo e di riceverne il suo appoggio.

Noi vogliamo vedere il volto di Cristo. Questo volto di Cristo che sfolgora nella bellezza della liturgia, e, come accennava il Santo Padre nel suo messaggio, ci introduce alla gloria definitiva del Suo volto. Il volto che è al tempo stesso di Risorto e di Giudice. Noi vogliamo solo mettere ogni giorno gli occhi della nostra intelligenza e del nostro cuore nel volto amatissimo del Signore. Perché da lì nasca un’intelligenza nuova, di noi e del mondo. Un cuore nuovo che ci fa amare ogni uomo che viene in questo mondo come parte del mistero di Cristo che ci si rivela. Che ci faccia sentire l’utilità del nostro tempo e della nostra vita soltanto come affermazione di Cristo e non come affermazione del nostro potere. Questo vogliamo.

Affidiamo alla Vergine la Santa Chiesa di Dio perché la letizia che scaturisce dalla fede sappia portare anche il peso del sacrificio della nostra vita quotidiana – della vita di tutta la Chiesa come di quella di ciascuno di noi – così da rendere inscindibile un binomio, che per la mentalità mondana sembra impossibile: letizia e sacrificio.

E così sia.

Fonte: http://it.paix-liturgique.org/

Il valore della Santa Messa detto da venti Santi

Sancta Missa 230

di Paolo Tescione

Soltanto in Cielo comprenderemo quale divina meraviglia sia la Santa Messa. Per quanto ci si sforzi e per quanto si sia santi ed ispirati, non si può che balbettare su quest’Opera Divina che trascende gli Uomini e gli Angeli. Ed allora abbiamo chiesto…. a 20 santi, un parere ed un pensiero sulla Santa Messa. Ecco che cosa siamo in grado di farvi leggere.

Un giorno, fu chiesto a Padre Pio da Pietrelcina:
“Padre, spiegateci la Santa Messa”.
“Figli miei – rispose il Padre – come posso spiegarvela?
La Messa è infinita, come Gesù…
Chiedete ad un Angelo cosa sia una Messa ed egli vi risponderà, con verità:
“Capisco che è e perché si fa, ma non comprendo, però, quanto valore abbia.
Un Angelo, mille Angeli, tutto il Cielo sa questo e così pensano”.

Sant’Alfonso de’ Liguori arriva ad affermare:
“Dio Stesso non può fare che vi sia un’azione più santa e più grande della Celebrazione di una Santa Messa”.

San Tommaso d’Aquino, con frase luminosa, scrisse:
“Tanto vale la Celebrazione della Santa Messa, quanto vale la Morte di Gesù in Croce”.

Per questo, San Francesco d’Assisi diceva:
“L’Uomo deve tremare, il Mondo deve fremere, il Cielo intero deve essere commosso, quando sull’Altare, tra le mani del Sacerdote, appare il Figlio di Dio”.

In realtà, rinnovando il Sacrificio della Passione e Morte di Gesù, la Santa Messa è cosa tanto grande da bastare, Essa sola, a trattenere la Giustizia Divina.

Santa Teresa di Gesù diceva alle sue figlie:
“Senza la Santa Messa che cosa sarebbe di noi?
Tutto perirebbe quaggiù, perché soltanto Essa può fermare il braccio di Dio”.
Senza di Essa, certamente, la Chiesa non durerebbe e il Mondo andrebbe disperatamente perduto.

“Sarebbe più facile che la Terra si reggesse senza Sole, anziché senza la Santa Messa” – affermava Padre Pio da Pietrelcina, facendo eco a San Leonardo da Porto Maurizio, che diceva:
“lo credo che, se non ci fosse la Messa, a quest’ora il Mondo sarebbe già sprofondato sotto il peso delle sue iniquità. È la Messa il poderoso sostegno che lo regge”.

Gli effetti salutari, poi, che ogni Sacrificio della Santa Messa produce nell’Anima di chi vi partecipa, sono ammirabili:
· ottiene il pentimento e il perdono delle colpe;
· diminuisce la pena temporale dovuta ai peccati;
· indebolisce l’impero di Satana e i furori della concupiscenza;
· rinsalda i vincoli dell’incorporazione a Cristo;
· preserva da pericoli e disgrazie;
· abbrevia la durata del Purgatorio;
· procura un più alto grado di gloria in Cielo.

“Nessuna lingua umana – dice San Lorenzo Giustiniani – può enumerare i favori dei quali è sorgente il Sacrificio della Messa:
· il peccatore si riconcilia con Dio;
· il giusto diviene più giusto;
· sono cancellate le colpe;
· annientati i vizi;
· alimentati le virtù e i meriti;
· confuse le insidie diaboliche”.

Se è vero che tutti noi abbiamo bisogno di Grazie, per questa e per l’altra vita, nulla può ottenercele da Dio come la Santa Messa.

San Filippo Neri diceva:
“Con l’orazione noi domandiamo a Dio le Grazie; nella Santa Messa costringiamo Dio a darcele”.

In particolare, nell’ora della morte, le Messe, devotamente ascoltate, formeranno la nostra più grande consolazione e speranza e una Santa Messa, ascoltata durante la vita, sarà più salutare di molte Sante Messe, ascoltate da altri per noi dopo la nostra morte.

“Assicurati – disse Gesù a San Gertrude – che, a chi ascolta devotamente la Santa Messa, Io manderò, negli ultimi istanti della sua vita, tanti dei miei Santi, per confortarlo e proteggerlo, quante saranno state le Messe da lui bene ascoltate”.
Quanto è consolante ciò!

Aveva ragione il Santo Curato d’Ars di dire:
“Se conoscessimo il valore del Santo Sacrificio della Messa, quanto maggiore zelo porremmo per ascoltarla!”.

E San Pietro G. Eymard esortava:
“Sappi, o Cristiano, che la Messa è l’atto più santo della Religione: tu non potresti far niente di più glorioso a Dio, né di più vantaggioso alla tua Anima che di ascoltarla piamente e il più sovente possibile”.

Per questo, dobbiamo stimarci fortunati, ogni qual volta che ci è offerta la possibilità di ascoltare una Santa Messa, né tirarci mai indietro di fronte a qualche sacrificio per non perderla, specialmente nei giorni di precetto (Domenica e Feste).

Pensiamo a Santa Maria Goretti che, per andare a Messa nel giorno di Domenica, percorreva a piedi, tra andata e ritorno, 24 chilometri!

Pensiamo a Santina Campana, che si recava a Messa con la febbre altissima.

Pensiamo a San Massimiliano M. Kolbe, che celebrava la Santa Messa anche quando era in condizioni di salute così pietose che un confratello doveva sostenerlo, all’Altare, affinché non cadesse.

E quante volte Padre Pio da Pietrelcina celebrò la Santa Messa, febbricitante e sanguinante?

Nella nostra vita d’ogni giorno, dobbiamo preferire la Santa Messa ad ogni altra cosa buona, perché, come dice San Bernardo:
“Si merita di più ascoltando devotamente una Santa Messa, che con il distribuire ai poveri tutte le proprie sostanze e con il girare pellegrinando su tutta la Terra”.
E non può essere diversamente, perché nessuna cosa al Mondo può avere il valore infinito di una Santa Messa.

Tanto più… dobbiamo preferire la Santa Messa ai divertimenti, in cui si sciupa il tempo senza nessun vantaggio per l’Anima.

San Luigi IX, re di Francia, ascoltava ogni giorno diverse Messe.
Qualche Ministro se ne lamentò, dicendo che poteva dedicare quel tempo agli affari del Regno.
Il Santo Re disse:
“Se impiegassi doppio tempo nei divertimenti… nella caccia, nessuno avrebbe da ridire”.

Siamo generosi e facciamo volentieri qualche sacrificio per non perdere un bene così grande!

Sant’Agostino diceva ai suoi Cristiani:
“Tutti i passi che uno fa per recarsi ad ascoltare la Santa Messa sono da un Angelo numerati e sarà concesso da Dio un sommo premio, in questa vita e nell’eternità”.

E il Santo Curato d’Ars aggiunge:
“Com’è felice quell’Angelo Custode che accompagna un’Anima alla Santa Messa!”.

San Pasquale Baylon, piccolo pastorello, non poteva recarsi in Chiesa ad ascoltare tutte le Messe che avrebbe desiderato, perché doveva portare le pecore al pascolo e, allora, ogni volta che udiva la campana dare il segnale della Santa Messa, s’inginocchiava sull’erba, fra le pecorelle, davanti ad una croce di legno, fatta da lui stesso, e seguiva così, da lontano, il Sacerdote che stava offrendo il Divin Sacrificio.
Caro Santo, vero serafino d’Amore eucaristico! Anche sul letto di morte egli udì la campana della Messa ed ebbe la forza di sussurrare ai confratelli:
“Sono contento di unire al Sacrificio di Gesù quello della mia povera vita”.
E morì, alla Consacrazione!

Una mamma di otto figli, Santa Margherita, Regina di Scozia, si recava e conduceva con sé i figli a Messa tutti i giorni; con materna premura insegnava loro a considerare come tesoro il messalino, che ella volle adornare di pietre preziose.

Ordiniamo bene le nostre cose, in modo da non farci mancare il tempo per la Santa Messa.
Non diciamo di essere troppo impegnati in faccende, perché Gesù potrebbe ricordarci:
“Marta… Marta… tu ti affanni in troppe cose, invece di pensare all’unica cosa necessaria!” (Lc. 10,41).

Quando si vuole, veramente, il tempo per andare a Messa si trova, senza venir meno ai propri doveri.

San Giuseppe Cottolengo raccomandava a tutti la Santa Messa quotidiana:
agli insegnanti, alle infermiere, agli operai, ai medici, ai genitori… e a chi gli opponeva di non avere il tempo per andarci, rispondeva deciso:
“Cattiva economia del tempo! Cattiva economia del tempo!”.

È così!
Se veramente pensassimo al valore infinito della Santa Messa, brameremmo parteciparvi e cercheremmo, in tutti i modi, di trovare il tempo necessario.
San Carlo da Sezze, andando in giro per la questua, a Roma, faceva le sue soste presso qualche Chiesa, per ascoltarvi altre Messe e, proprio durante una di queste Messe in più, ebbe il dardo d’Amore al cuore al momento dell’elevazione dell’Ostia.

San Francesco di Paola, ogni mattina, si recava in Chiesa e si tratteneva, là dentro, ad ascoltare tutte le Messe che si celebravano.

San Giovanni Berchmans – Sant’Alfonso Rodriguez – San Gerardo Maiella, ogni mattina, servivano più Messe che potevano e con un contegno così devoto da attirare molti fedeli in Chiesa.

Che dire, infine, di Padre Pio da Pietrelcina?
Erano tante le Messe in cui era presente, ogni giorno, partecipandovi con la recita di tanti Rosari?

Non sbagliava davvero il Santo Curato d’Ars a dire che “la Messa è la devozione dei Santi”.

Lo stesso bisogna dire dell’Amore dei Santi Sacerdoti alla celebrazione della Messa:
non poter celebrare era per loro una sofferenza terribile.
“Quando sentirai che non posso più celebrare, tienimi per morto” – arrivò a dire ad un Confratello San Francesco Saverio Bianchi.

San Giovanni della Croce fece capire che lo strazio più grande, patito durante il periodo delle persecuzioni, fu quello di non poter celebrare la Messa, né ricevere la Santa Comunione per nove mesi continui.

Ostacoli o difficoltà non contavano per i Santi, quando si trattava di non perdere un bene così eccelso.

Dalla vita di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, sappiamo che, un giorno, in una via di Napoli, il Santo fu assalito da violenti dolori viscerali.
Il Confratello, che l’accompagnava, lo esortò a fermarsi per prendere un calmante, ma il Santo non aveva ancora celebrato e rispose di scatto al confratello:
“Caro mio, camminerei così dieci miglia, per non perdere la Santa Messa”.
E non ci fu verso di fargli rompere il digiuno (a quei tempi… obbligatorio dalla mezzanotte).
Aspettò che i dolori si calmassero un po’ e riprese, poi, il cammino fino in Chiesa.

San Lorenzo da Brindisi, Cappuccino, trovandosi in un paese d’eretici, senza Chiesa Cattolica, fece quaranta miglia a piedi per raggiungere una Cappella, tenuta da Cattolici, in cui poter celebrare la Santa Messa.

Anche San Francesco di Sales si trovò in paese protestante e per celebrare la Santa Messa doveva recarsi, ogni mattina, prima dell’alba, in una Parrocchia Cattolica, che si trovava al di là di un grosso torrente.
Nell’autunno piovoso, il torrente s’ingrossò più del solito e travolse il piccolo ponte su cui passava il Santo, ma San Francesco non si scoraggiò, gettò una grossa trave là dov’era il ponte e continuò a passare, ogni mattina.
D’inverno, però, con il gelo e con la neve, c’era serio pericolo di sdrucciolare e cadere nell’acqua. Allora, il Santo s’ingegnò, mettendosi a cavalcioni sulla trave, strisciando carponi, andata e ritorno, pur di non restare senza la Celebrazione della Santa Messa!

Noi non rifletteremo mai abbastanza sul Mistero ineffabile della Santa Messa, che riproduce sui nostri altari il Sacrificio del Calvario, né ameremo mai troppo questa suprema meraviglia dell’Amore Divino.

“La Santa Messa – scrive San Bonaventura – è l’Opera in cui Dio ci mette sotto gli occhi tutto l’Amore che ci ha portato; è, in un certo modo, la sintesi di tutti i benefici elargitici”.

fonte: diariodeglieremiti.wordpress.com